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tettoieSiamo cafoni. Una massa di cafoni. Nel vero senso della parola. Non in quello siloniano, a modo suo “nobile” per dignità letteraria acquisita, ma in quello popolare. Cafoni. Nel senso di grezzi e feroci. E lo siamo al punto di non aver paura di specchiarci, tanto che per poterci specchiare tutti, abbiamo costruito uno specchio grande come una piazza, e l’abbiamo attaccato sul soffitto di una pensilina inutile. Quello di Largo San Matteo è, infatti, “Lo specchio dei cafoni”.
Perché è tipico dei cafoni, copiare male. E noi l’abbiamo fatto.
Mi spiego: la storia dell’arte è fatta di copie migliorate. Si chiama “ispirazione” o “citazione”. Qualcuno dipinge qualcosa di mai dipinto, o scrive qualcosa di mai scritto, altri si “ispireranno” o “citeranno”, in un gioco di richiami più o meno espliciti che, a loro volta, saranno spunto di ispirazione o citazione. E’ l’arte. Funziona così. Diverso, invece, è copiare male. Perché, in quel caso, si rischia di ritrovarsi non solo con la figuraccia plateale della mancanza di originalità, ma anche con una brutta opera da guardare. Era già successo, con la “Palla” di Mastrodascio, che richiamava altre palle, ben più belle (non ce ne voglia il maestro, ma a gusto nostro è così) di Arnaldo Pomodoro, arrivata in città per farsi baricentro simbolico di piazza Garibaldi e poi rotolata fino alla rotonda del Lotto Zero, a far da spartitraffico. E’ risuccesso con la tettoia cromata di Largo San Matteo. Sappiamo che avete già visto la foto che apre questo articolo, bene: quella di sinistra è la tettoia teramana, quello di destra è il padiglione “Vieux Port” costruito nel 2013 nel porto di Marsiglia. Quella di sinistra è un fungo cromato, cresciuto in una piazza della città bocciata quale capitale italiana della cultura; quello di destra è il progetto monumentale di una città che celebrava sé stessa quale capitale europea della Cultura. Quella di sinistra, è insultata su facebook; quella di destra è citata nei libri di storia dell’arte. Quella di sinistra, è figlia di un concorso di idee; quella di destra è figlia della creatività di Norman Foster (e se non sapete chi sia, vi meritate la tettoia di Largo San Matteo). Perché siamo cafoni? Perché l’abbiamo copiata male.

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Quella di Foster è un foglio sospeso tra cielo e mare, protegge dal primo riflettendo il secondo; quella teramana è di fatto una sorta di gazebo di un bar, ma senza sedie, quindi inutile. Quella di Foster è un velo, senza bordi, un taglio netto, un riflesso che cambia la percezione del nostro essere “terrestri”; quella teramana ha un bordo così evidente che, per il popolo della rete, non è stato difficile farne una pensilina da stazione di servizio. Abbiamo copiato. E male. Perché siamo cafoni. E, a scanso di equivoci, precisiamo che la cafoneria non ricomprende anche i progettisti, perché loro hanno avuto un’idea e ce l’hanno proposta. Per loro era un progetto. Un’ispirazione. Una citazione.  I cafoni siamo noi, che l’abbiamo scelta. E che adesso dobbiamo tenercela. Condannati a riflettere... da un riflesso.

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