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È stato presentato a Edimburgo – nel corso del Planetary Health Annual meeting che si è tenuto dal 29 al 31 maggio – l’ultimo studio di Mauro Serafini, docente della Facoltà di Bioscienze dell’Università di Teramo, dal titolo The ecological impact of obesity: the metabolic food waste (L'impatto ecologico dell'obesità: lo spreco metabolico del cibo) che ha illustrato, per la prima volta, l’impatto ambientale dell’obesità sul pianeta, tramite l’indicatore MFW - Metabolic Food Waste/Spreco alimentare metabolico.
L’indicatore valuta i chili di cibo sprecato che consuma una persona in sovrappeso o obesa e il suo impatto ambientale in termini di emissioni di anidride carbonica, consumo di acqua e di terreno sottolineando l’insostenibilità nutrizionale ed ecologica dell’obesità.
«È importante comprendere – ha dichiarato Serafini ‒ che la salute del pianeta è strettamente collegata con la salute dell’uomo e la nutrizione rappresenta  uno strumento fondamentale per tutelare entrambe. In questo studio abbiamo quantificato, per la prima volta, l’enorme costo ecologico e lo spreco alimentare associato all’obesità, condizione “insostenibile” per l’uomo e per il pianeta. La sfida del prossimo futuro si baserà sulla capacità dell’essere umano di adottare stili di vita e regimi alimentari a basso impatto ecologico e ad alto valore funzionale».
«Il MFW – ha aggiunto Serafini ‒ associato all’obesità a livello mondiale è risultato essere di circa 141 miliardi di tonnellate di cibo sprecato. Tra le sette regioni FAO considerate, l’Europa e il Nord America/Oceania si caratterizzano per il maggiore spreco metabolico con 39 e 32 miliardi di tonnellate di cibo sprecate. Seguono America Latina, Asia industrializzata, Nord Africa e Asia centrale e occidentale, Asia meridionale e sudorientale e Africa sub sahariana (5 miliardi)».
Mauro Serafini, ordinario di Alimentazione e nutrizione umana della Facoltà di Bioscienze e tecnologie agro-alimentari è commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana «per meriti scientifici facendo parte degli scienziati italiani inclusi nella lista redatta dalla Thomson Reuters relativa ai ricercatori internazionali i cui lavori scientifici sono stati i più citati al mondo ».
Lo studio è realizzato in collaborazione con Carla Di Mattia, della Facoltà di Bioscienze, ed Elisabetta Toti del CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell'economia agraria).