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Rubrica saltuaria di satira mattutina Questa foto è, in realtà, una testimonianza rarissima. Si tratta, infatti, dell’unica testimonianza esistente della fine del Modello Teramo. La foto, scattata da una badante rumena del Pio Albergo Pretuzio, raffigura infatti i protagonisti di una stagione politica importantissima, in quello che è stato il loro triste esilio dopo la caduta del Modello Teramo. Ormai anziani, acciaccati dal tempo e dalle prove durissime della politica, i quattro ex potenti: Mauro Di Dalmazio, Paolo Tancredi, Gianni Chiodi e Paolo Gatti, si ritirarono in un’abbazia cistercense perduta tra i boschi del Casentino, dedicandosi ad interminabili partite a carte, spesso interrotte dalle liti, perché Gatti aveva la tendenza di cambiare alleanza anche durante la briscola, creando problemi agli altri giocatori. La decisione del ritiro in convento venne adottata nella Primavera del 2018, in seguito alla salita al potere della Lega Lombarda e ad una serie di vicissitudini personali dei quattro protagonisti. Mauro Di Dalmazio, resosi conto di aver fatto rieleggere Quagliariello, fu il primo a salire il sentiero boscoso dell’abbazia, anche se poi, una volta arrivato, cercò di cedere la sua stanza a Gianni Chiodi il quale, all’inizio duramente provato dalla mancata candidatura in Forza Italia, poi rinfrancato dalla trombatura (politicamente parlando) della Pelino, decise di andarsene comunque in convento, per potersi dedicare finalmente alla sua più segreta passione: la lettura ad alta voce di tutte le opere di John Maynard Keynes, specie “La moneta e le finanze dell’India”, mettendo a dura prova la pazienza dei fratacchioni di clausura che, costretti al silenzio, considerarono l’ascolto di quelle litanie incomprensibili quali prove per l’elevazione spirituale. Terzo a salire al sacro luogo fu Paolo Tancredi, si dice per sfuggire alle pressioni di Giorgione D’Ignazio il quale, mancata l’elezione al Parlamento nelle liste petalose della Lorenzin, sulle prime aveva deciso di lasciare la politica, trasformando la sua sede elettorale il un “Conad Margherita”, tanto i cartelli già c’erano, ma poi, preso dal sacro fuoco della passione, aveva deciso di tornare nell’agone, chiedendo a Tancredi una qualsiasi candidatura. Parlamento, Regione, Provincia, Comune, Comitato di Quartiere, Assemblea di condominio, bocciofila di Villa Mosca, Giuria della sagra del Tartufo a Campovalana, non c’era carica elettiva alla quale Giorgione non aspirasse, Tancredi intuì che l’unico modo per sfuggirgli sarebbe stato il silenzio dell’Abbazia. Gatti arrivò per ultimo, dopo la grande rivolta dell’Autunno del ’18, quando le sue falangi di Futuro In entrarono in guerra con le truppe scelte (vabbè, scelte…quelle erano) di Rudy Di Stefano. Quello che era stato l’accordo elettorale della Quarta Gamba, infatti, era caduto e si scivolò nel tutti contro tutti, mettendosi reciprocamente sgambetti di ogni genere. A tutte e quattro le gambe. Quando anche Verso entrò in guerra contro gli altri due, perché ormai s’era capito che non c’erano i 79 posti da assessori che il lider maximo aveva promesso, la guerra fu totale e Gatti scelse l’esilio. Due mesi dopo il suo arrivo in convento, nacque “Fratone in”, un gruppo di preghiera, che candidò Gatti a Priore dell’Abbazia.