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comizipiazzaSe una campagna elettorale la decidessero i comizi finali, quella di Teramo senza alcun dubbio ci regalerebbe il dieci giugno un ballottaggio tra Gianguido D’Alberto e Mauro Di Dalmazio. Sono loro, per giudizio della piazza, i migliori dell’ultima serata di campagna elettorale. Un’ultima serata che ha regalato qualche sorpresa, qualche delusione, qualche conferma e qualche gaffe. Non tanto sui programi, quelli ormai sono noti, ma sulla personalità dei candidati e sulla “forza” della “truppa” che li segue.

Paola Cardelli. Parla per prima, è in programma per le 18,30, ma comincia un quarto d’ora dopo perché piove. Una trentina di ombrelli ad ascoltarla. Un senso generale di rompete le righe. Rimarca i concetti base della sua candidatura, ma la piazza è distratta.

Giandonato Morra. Sale sul palco alle 19,20, piove forte. Lo accompagnano i rappresentanti di Lega, Oltre, Futuro In / Forza Italia (se Gatti è da considerarsi a doppio logo). Introduce l’onorevole Alberto Bagnai che sfodera una gaffe d’apertura salutando «Nicola Morra», prima di correggersi: «Scusate, Nicola è un mio studente… il candidato è Giandonato». In piazza un centinaio di ombrelli aperti, duecento persone presenti, ma altrettante sono sotto i portici a ripararsi. Morra sa come si tiene la piazza e rinnova i punti fermi del suo programma. C’è nell’aria un po’ l’atmosfera del vincitore annunciato, e Gatti lo dice: «Abbiamo avanti ancora 14 giorni e poi il ballottaggio..». In realtà, Gatti dice anche: «Ci accusano di aver candidato dei vincitori di concorso, ma meglio candidare dei vincitori…che candidare gente che un concorso spera di vincerlo con le promesse che gli hanno fatto per farli candidare». A molti, è sembrata una battuta infelice.

Gianguido D’Alberto. E’ una rivelazione. E’ diverso dal consigliere pacato e garbato che siamo soliti vedere. E’ retoricamente aggressivo, dosa le pause e i toni, guarda la piazza e la provoca. E la piazza, più o meno trecento persone (ma ancora pioviccica), risponde e applaude. La madre di Gianguido segue tutto in diretta via telefonino, mentre il figlio candidato dimostra di essere diventato “animale da comizio”. Attacca il centrodestra, non risparmia stilettate a Di Dalmazio, esalta la sua squadra e ridefinisce con una prosa sintetica ed efficace i dettagli del suo programma. Quasi urla quando dice ai teramani: «Il voto deve essere libero e senza pressioni, se qualcuno oltre a chiedervi il voto, vi chiede il seggio in cui votate, mandatelo a qual paese…». Gianguido è cresciuto. Tanto.

Cristiano Rocchetti. E’ la sorpresa. In negativo. Non per lui, anzi, anche Rocchetti è cresciuto molto. All’inizio di questa campagna elettorale era timido e “novizio”, adesso si muove meglio e parla meglio. Certo, c’è ancora qualcosa da rivedere nella priorità dei punti di programma (quello dei bagni pubblici meriterebbe minore risalto), ma Rocchetti sa stare su palco. Il problema…è che non ce lo fanno stare. Non abbastanza, almeno. Parla prima Fabio Berardini, che ricorda la sua campagna da Sindaco di quattro anni fa; poi parla Sara Marcozzi, che spazia sull’Abruzzo e il ruolo del Movimento, poi parla Zennaro, che sottolinea l’impegno parlamentare, poi riparla Berardini… quando prende il microfono Rocchetti, dei 45 minuti assegnati… ne mancano più o meno tredici. Pochi, pochissimi. E la piazza, che è molto meno piena di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, un centoventi persone forse meno, non gradisce.

Alberto Covelli. Solo. Sale sul palco da solo e da solo per quasi 50 minuti arringherà la folla, che è almeno doppia di quella dei cinque stelle. Covelli tiene il palco benissimo, ma lo si sapeva, affonda e attacca i suoi competitor, ma sempre con una certa eleganza e una cifra stilistica che non gli fa passare il segno. E’ un signore dai modi gentili che vuole impegnarsi e che crede nel miracolo possibile di potersela giocare al ballottaggio. Dodo c’è, ma è e resta sempre tra il pubblico, ad applaudire. Una risposta per quanti hanno amato ripetere che Covelli ne è l’emanazione. Anzi.

Mauro Di Dalmazio. La piazza adesso si è riempita ancora di più, saranno oltre quattrocento persone. Di Dalmazio, come ha fatto per tutta la campagna elettorale, fin dall’annuncio della candidatura, è solo sul palco. Ma è inevitabile, sarebbe difficile trovargli una spalla. E’ l’uomo delle visioni prospettiche e sa come spiegarle, degli scenari politici e sa come delinearli, dei progetti fondanti e sa come tracciarli, delle utopie non utopiche, quelle che rendono la politica degna di essere partecipata. E sa renderle olografie di parole. Disegna la sua Teramo, la città che vuole “Fare Grande”, non tralascia la stoccata ma il livello è sempre alto, la vibrazione emotiva della piazza è sempre in sincrono con la sua. Sa di aver combattuto una campagna elettorale difficilissima, ma sa anche di aver costruito una alternativa più che credibile. E’ un leader vero.

Giovanni Cavallari. La piazza l’accoglie con un orizzonte di folla, lui paga un po’ l’emozione e un po’ la fatica di una campagna elettorale che non è stata comoda, anzi. Ha battuto il territorio in lungo e in largo, ha incontrato quanta più gente possibile e ha cercato di essere presente anche in ogni dibattito pubblico, non facendo venir meno la sua opinione in ognuna delle questioni che si accendevano in città. Sembra un po’ provato, ma è la stanca fierezza di chi sa di aver dato tutto. Ribadisce i punti del suo programma con quel fare educato da brava persona che è nel suo dna. Quando scende dal palco, su Teramo si allunga il velo del silenzio elettorale.