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RedwebIdioti. Con le scarpe rosse. 

Analfabeti, con le scarpe rosse. 

Schifosi webeti, con le scarpe rosse.

La platea vomitante dei marginali, ai quali la nascita dei social ha concesso una dignità di parola che la natura aveva, giustamente, negato, nelle ultime ore ha offerto una delle più  efficaci rappresentazioni del decadimento culturale che ci imprigiona..

L’immancabile pletora di webeti, ha invaso le piattaforme social, per commentare il “caso Ciarrocchi”, ovvero l’arresto del primario e assessore, a seguito della denuncia di abusi sessuali presentata da una donna. 

La crassa ignoranza dell’ignobile popolo webete, che fino a ieri era composto da “famosissimi” virologi  impegnati nelle valutazioni scientifiche del vaccino Astrazeneca, si è immediatamente riconvertita in un congresso di giurisperiti.

Nulla sapendo di codice penale, di diritto di cronaca, di tutela dei dati personali, gli Accademici della rete hanno commentato.

E insultato.

E giudicato.

E sentenziato.

Prendendosela col bersaglio facile, cioè noi. I giornalisti. Ho letto di tutto, una quantità di coglionate che, al confronto, il “Cchiù pilu pe’ tutti”  di Cetto Laqualunque assurge alla dignità dell’”I have a dream” di Martin Luther King.

Nel desiderio, anche giusto, di esprimere la loro solidarietà al medico agli arresti, il popolo webete ha trovato il “nemico”... il giornalista, quello che per qualche like in più ha pubblicato il nome “mentre quando arrestano un drogato non lo scrivete mai, vero?”, quello che ha pubblicato la foto “ma quando arrestano un maestro pedofilo non la pubblicate, vero?”

No, non starò qui a spiegare cosa sia un arresto e perché un magistrato (non un giornalista) lo richieda. Non dedicherò tempo e spazio, all’inutile tentativo di spiegare il codice di procedura penale, il diritto di cronaca, la legge sul diritto d’autore e il testo unico dei doveri del giornalista, a chi non ha mai letto neanche le istruzioni del telefonino, col quale affida al mondo il distillato della sua idiozia.

Non posso sprecare il mio tempo, nel replicare all’analfabeta funzionale che scrive “speriamo che in giuria non ci siano troppe donne, altrimenti per il medico si mette male...”.

No, non posso.

E non voglio.

Perché questo articolo, non é una risposta, ma una domanda. 

Semplice.

Quasi banale.

Dove le avete lasciate, le scarpe rosse?

Dico a voi, idioti tastierizzati, coglioni profilati social, webeti in libera uscita... dico a voi: dove sono le vostre scarpe rosse?

Quelle che avete postato il 25 novembre e magari l’8 marzo, quelle che avete pubblicato sdegnati, invocando parità e rispetto... dove sono?

E le panchine rosse? 

Dove sono? 

Quelle belle panchine rosse, che avete postato con il vostro “no alla violenza sulle donne”, che fine hanno fatto?

Possibile che nessuno tra voi, nel delirio social nel quale vi siete perduti, in una fonduta di qualunquismo becero e pasciuto pressappochismo, abbia pensato alla ragazza?

Perché... magari vi è sfuggito il particolare... tutto questo caso, nasce dalla denuncia di una ragazza, che ha riferito di aver subito atti di VIOLENZA SESSUALE.

Ve l’ho scritto un maiuscolo, con la rappresentazione urlante della grafia web.

E lo ripeto: VIOLENZA SESSUALE.

Fatta salva la presunzione di innocenza e l’assoluta fiducia nella giustizia, mi chiedo perché, tra migliaia di commenti, quasi nessuno abbia pensato a lei. Alla ragazza che ha presentato la denuncia.

E se fosse stata vostra figlia?

E se fosse stata vostra sorella?

E se fosse stata la vostra fidanzata?

E se fosse stata vostra moglie?

E se fosse stata vostra madre?

E se fossi stata tu, schifosa commentatrice facebook che hai scritto: “non so cosa sia successo, ma certe ragazze se la cercano...”?

Dove sono le vostre scarpe rosse?

E le panchine?

Io sono un giornalista. Non giudico. Racconto i fatti.

E i fatti sono che un pubblico ministero, che si chiama Francesca Zani, dopo 6 mesi di indagini condotte dalla Squadra Mobile, ha chiesto ad un giudice per le indagini preliminari, che si chiama Roberto Veneziano, un’ordinanza di custodia cautelare per un ginecologo e primario teramano nonché  assessore a Montorio, che si chiama Francesco Ciarrocchi. 

Questi sono i fatti e i nomi.

L’unico che non leggerete, é il nome di una ragazza. Quella che ha presentato la denuncia. 

Alla quale, siccome non è vostra figlia, sorella, fidanzata, moglie o madre, avete strappato dai piedi le scarpe rosse.

Schifosi webeti.

ADAMO