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REDDITOXDevo lo spunto di questo articolo, ad una interessante chiacchierata col dottor Alessandro Caccia, attento lettore della realtà e arguto osservatore delle cose italiane. Si discuteva della reale incidenza del reddito di cittadinanza sulla risoluzione dei problemi di chi, per una delle vicende della vita, si ritrova a non avere di che mantenere sé stesso e la propria famiglia. E ci si chiedeva anche, quanto producesse poi quel reddito di cittadinanza in termini di “ritorno” per la collettività. Mi spiego: il reddito di cittadinanza funziona se viaggia su due binari, paralleli e inscindibili, ed è il Governo stesso a stabilirlo:
1 “Il Reddito di cittadinanza è una misura di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale. Si tratta di un sostegno economico ad integrazione dei redditi familiari”.
2 “Il Reddito di cittadinanza è associato ad un percorso di reinserimento lavorativo e sociale, di cui i beneficiari sono protagonisti sottoscrivendo un Patto per il lavoro o un Patto per l'inclusione sociale”.
Chiaro, no?
Lo Stato aiuta chi è in difficoltà e, parallelamente, l’aiuta a reinserirsi nel lavoro, anche mettendone l’opera al servizio della collettività, con lavori di pubblica utilità. Per essere più chiari, (lo so che con questa cavillosità posso diventare antipatico o un po’ pedante, ma credetemi è importante), la concessione del Reddito di cittadinanza sia “…necessario rispettare alcune “ condizionalità “ che riguardano l’immediata disponibilità al lavoro, l’adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale che può prevedere attività di servizio alla comunità, per la riqualificazione professionale o il completamento degli studi nonché altri impegni finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro e all’inclusione sociale. Al rispetto di queste condizioni sono tenuti i componenti del nucleo familiare maggiorenni, non occupati e che non frequentano un regolare corso di studi”.
La faccio semplice: se vuoi il Reddito di Cittadinanza, devi essere disponibile a fare lavori di pubblica utilità, seguire corsi o magari rimetterti a studiare.
Questa è la teoria.
La pratica è altro, molto altro.
E molto diverso.
Diamo un po’ di numeri: i nuclei familiari assistiti dal Reddito di Cittadinanza, in Abruzzo, sono 22.706, che si traducono in 48.322 persone. Visto che, nella nostra regione, l’importo medio del Reddito di Cittadinanza è di 551,46 euro, significa che ogni mese in Abruzzo arrivano 26.647.650 euro. Lo scrivo anche in lettere: ventiseimilioniseicentoquarantasettemilaseicentocinquantaeuro.
In un anno, quasi 320 milioni di euro.
Non ne discuto l’importo, se servono ad aiutare chi non ce la fa, sono soldi ben spesi. Il fine però non è la beneficenza, quanto un “percorso di reinserimento lavorativo e sociale” eccetera eccetera, quindi è giusto che ci si chieda quanto questi 320milioni producano in termini di ritorni per la collettività.
E qui, come temevamo io e il dottor Caccia, tutto si complica.
Perché in realtà, ad essere davvero impegnata in lavori di pubblica utilità, è stata solo una percentuale minima dei percettori del reddito, qualcosa come «Il 15%, stando ai dati nazionali» riferisce Mauro Pettinaro della Cgil teramana, ricordando come in provincia di Teramo i percettori siano oltre tremila. Dei quali, conti alla mano, solo in 450 hanno potuto offrire la loro opera alla collettività.
E gli altri?
Quanta forza lavoro ingiustamente inutilizzata, in questo momento potrebbe aiutare le amministrazioni pubbliche, alle prese con gli effetti di una sempre più grave carenza di personale?
Facendo i conti sulle medie nazionali, in Abruzzo ricevono il Reddito più di 40mila persone, che non vengono poi reinserite nel mondo del lavoro. E non è solo un discorso di “ritorni” per la collettività il mio, perché lavorare - quale che sia il lavoro - è sempre un modo per ridefinire dignitosamente la propria presenza nella società. So per certo, che c’è chi soffre nel sentirsi “assistito” dal Reddito di Cittadinanza, senza far nulla “in cambio”. E poi, il Reddito nasce come misura “integrativa” (rileggete il punto 1) non sostitutiva di un reddito familiare.
E allora, perché?
Perché quarantamila abruzzesi non vengono utilizzati per garantire forza lavoro ai Comuni, alle Province, alle Asl? So che in gran parte si tratta di lavoratori non qualificati, ma so anche quanto ogni amministrazione abbia bisogno anche di chi svolge lavori meno qualificati. E poi, c’è anche - nella ratio del Reddito - la previsione di un “percorso qualificante”. E immagino anche che, tra quei quarantamila, ci sia anche qualcuno che invece una qualche competenza ce l’ha, visto che tra i “nuovi poveri” (orrida definizione, ma che rende bene la situazione) non mancano impiegati cinquantenni travolti dalla crisi economica.
Gente che sa fare e vorrebbe fare.
Perché non accade?
La risposta, è molto italiana: “perché manca il personale per gestire tutte le pratiche”….
Chiudo con una domanda: vi viene in mente qualcuno che potrebbe essere chiamato a dare una mano nella gestione delle pratiche?

ADAMO