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Copenha
Nicolas WindingRefn – il regista di Drive (2011), per intenderci –è diventato (un po') più buono.

Eh sì, dopo il lento e feroce TooOldToDie Young del 2019 [Trailer: https://bit.ly/3Gxkbja] – la più grande lezione di regia degli ultimi vent'anni dopo Inland Empire (2006) [Trailer: https://bit.ly/3iH3XvV] del Maestro David Lynch, che è la più grande lezione di cinema di tutti i tempi, di cui Refn, evidentemente, segue attentamente tutti gli insegnamenti – il regista danese snobba ancora il cinema e riparte dalla serie tv proponendo per Netflix i sei episodi di Copenhagen Cowboy[Trailer: https://bit.ly/3WaxoUM] rinunciando, però, alla estrema ed estetizzante lentezza della serie Prime e alla sua "cattiveria" di sceneggiatore – ruolo che affida ad altri dopo aver ideato la serie, proprio come fece Lynch negli anni '90 con I segreti di Twin Peaks: il ruolo dello sceneggiatore è fin troppo spesso sovrastimato, quando invece è addirittura superfluo; Roberto Rossellini, non proprio l'ultimo della lista, addirittura scoppiava in una fragorosa risata quando qualche critico o cinefilo francese [o cinofilo francese – sì, proprio un canaro qui intendo, e abbiate, vi prego! pietà di questa mia (troppo) lunga divagazione sul tema],capitato per sbaglio dalle sue parti intorno agli anni '50, voleva fargli dire delle sue sceneggiature, che Rossellini pensava al Cinema non contassero proprio niente, che per lui erano solo quei quattro appunti scarabocchiati su un foglio appena tra un caffè e l'altro in qualche bar della Capitale; personalmente credo che sacrificare uno scrittore al cinema sia il più insulso degli atti criminali, come fu l'uso criminale, ma anche autolesionistico, che si fece di Cesare Zavattini, VitalianoBrancati, Ennio Flaiano e Pier Paolo Pasolini, tanto per fare qualche nome noto, mentre il dimenticato Vincenzo Cardarelli fu uno dei pochi che ne uscì salvo perché a malapena si affacciò su quella invitante, ricchissima portadopo la quale molti si accomodarono bene, seppure più volte invitato, poeta e prosatore straordinario – ma non alla qualità delle immagini e ai colori, blu e rosso, che contraddistinguono la sua regia.

Siamo anche qui in un ambiente criminale ma ben lontano dai cartelli messicani e al fresco della Danimarca dove una famiglia serbo-albanese, fratello e sorella, André e Rosella, portano avanti una avviata attività di prostituzione.

Protagonista della serie è Miu con la sua tutina blu, una giovane, esile, piccola maga portafortuna che avrebbe capacità così straordinarie da poter riuscire a permettere alla attempata Rosella di rimanere finalmente incinta, ma così non accade, con immediato declassamento della povera Miu, venduta allo scopo dalla madre alla solo aspirante madre ma già matrona, da portafortuna a prostituta del bordello o potenziale mangime per maiali.

E da qui che parte l'azione del telefilm, tra impossibili emicranie, pastose vendette e silenziosi cori russi, ma guai ad aspettarsi trame thriller e storytelling ammalianti, vale a dire quelle americanatespacciate da Alessandro Baricco all'inutile Scuola Holden, come è inutile qualsiasi scuola all'Arte, perché Nicolas WindingRefnporta il Cinema sul piccolo schermo – spesso anche piccolissimo considerato che molti consumano ore ed ore di serie tvdirettamente dallo smartphone – e il linguaggio cinematografico più autentico è quello che cura primaditutto le immagini, per questo i film del regista danese sono solo da guardare, e questo, beninteso, è un gran pregio perché significa che la sua opera è del tutto priva di intrattenimento.

MASSIMO RIDOLFI