L’arch. Gian Domenico Spinozzi fu uno dei due teramani che si opposero “davvero” all’abbattimento del Teatro Comunale dell’Ottocento. Ma non era consigliere comunale. I due consiglieri comunali che votarono contro, due missini, il prof. Lettieri e l’ing. Martegiani, votarono contro per motivi “incidentali”, il primo per perplessità procedurali, il secondo per motivi di sostanza, ma con la stessa base argomentativa dell’arfch. Spinozzi, il quale, al contrario dell’altro teramano non consigliere comunale che pure si oppose “davvero” all’abbattimento, il monarchico Mattucci, oppose argomentazioni che allora furono di avanguardia e non compresi, le stesse argomentazioni che facciamo noi teramani di oggi, gridando al delitto. Anche lui gridò al delitto, ma fu inascoltato. Era un “veggente” e, come tutti “i veggenti”, era considerato all’epoca poco meno che un matto, un bizzarro. Ma aveva ragione lui. Aveva ragione anche a proposito di un’altra questione, il “rifacimento” del palazzetto neo gotico che stava a fianco del Duomo di Teramo. Era stato incaricato del progetto di rifacimento dal committente, il dott. Crucioli, proprietario del palazzetto Crucioli, e aveva conservato nel suo progetto i pregi e la caratteristiche dell’edificio, ma il suo lavoro venne giudicato anti economico dal proprietario, che lo esautorò, rifacendo il suo palazzo a modo suo, seguendo altre indicazioni progettuali, che stravolsero la costruzione, facendo diventare un pugno nell’occhio un edificio che doveva confrontarsi con il Duomo. Spinozzi se ne adontò molto e inviò una lettera a “Il Tempo”, che la pubblicò il 27 gennaio 1956. Se la si legge oggi quella lettera, si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad una dettagliata analisi di quello che non si sarebbe dovuto fare a Teramo e invece fu fatto. Che diceva Spinozzi?
Diceva che il rifacimento del palazzo Crucioli lo interessava non solo come progettista, che vedeva trasformato il suo progetto “in uno sconcio”, ma come cittadino teramano e che il decoro della città era interesse di tutti i cittadini. Il suo progetto di sopraelevazione e di abbellimento del palazzo Crucioli era stato approvato dalla Sovrintendenza delle Belle Arti, il massimo organo deliberante in materia, e successivamente dalla Commissione Comunale Edilizia. Era risaputo che in una zona artistica, e il centro storico di Teramo era una zona artistica, non si potevano apportare al progetto approvato le minime variazioni invece era avvenuto che il suo progetto, approvato, era stato stravolto, manomesso, senza chiedere il suo parere, erano stati usurpati i suoi diritti di progettista, era stata offesa la sua dignità professionale, senza tener conto delle sue diffide. E così era stato realizzato “uno sconcio”, un palazzo che faceva a pugni con il Duomo. Era un pugno nell’occhio. Il palazzetto Crucioli faceva ora mostra di sé “in un aspetto desolante come offesa come costruzione e come offesa allo scenario artistico della piazza Orsini” dove sorgeva “la monumentale e bellissima facciata del Duomo del ‘200”. Lui, come progettista, ci faceva una meschina figura perché i teramani non sapevano che il suo progetto era stato stravolto e lo credevano responsabile di quello scempio. Se fosse stato realizzato il suo progetto, la piazza Orsini avrebbe avuto un decoro che non aveva e sarebbe stata rispettata la panoramica artistica. Per non sentirsi ulteriormente oltraggiato nel suo prestigio professionale, era stato costretto a rivolgersi alla stampa per informare dell’accaduto la pubblica opinione e per ristabilire la verità. Stravolgendo le linee architettoniche previste dal suo progetto, nella più artistica piazza di Teramo era stato realizzato uno sconcio. Lui aveva progettato un’opera degna e lo sconcio non era colpa sua. I teramani dovevano saperlo. Povero architetto Spinozzi! Io lo ricordo, faceva il giro dei giornali, non si dava pace. Recriminava in continuazione e, quando,due anni dopo venne deciso di abbattere il Teatro Comunale tornò a gridare allo scempio, mentre tutti osannavano la modernità, lui protestava e gridava e sbraitava, inascoltato come una Cassandra impazzita. I politici, gli amministratori e i concittadini lo deridevano, lo accusavano di non volere la Standa. Quando poi sorse il nuovo cine teatro, disse che era una gabbia per polli. Lo fece scrivere sui giornali… inascoltato. Ne parleremo un’altra volta.
ELSO SIMONE SERPENTINI