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GIANGUIDODISPERATO 

La politica è come il mosto. Quello, il mosto, quando arriva il periodo della vendemmia, ribolle. Quella, la politica, ribolle quando arriva in periodo delle elezioni. È una sorta di reazione naturale: la vinificazione del consenso, la maturazione dei lieviti programmatici, la saturazione dei rapporti interpartitici, fino alla creazione di un gas che deve essere espulso.

È qui, in quel rimestare che si decide che vino, pardon: che amministrazione sarà. Per il mastro vinaio Gianguido da Teramo, siamo arrivati alla fase più delicata, quella che va oltre il rimestaggio, (già affrontato col primo rimpasto), è il momento del barrique.

È adesso, che D’Alberto deve scegliere il “sapore” che avrá il suo vino, perché è adesso che, sul far delle elezioni, la politica cittadina torna a ribollire. Il problema è che, davanti a quelle botti in fermento, il Sindaco sembra poco interessato al gusto che avrà il suo vino, ma molto di più al colore delle etichette. All’apparire, più che all’essere. Alle conferenze stampa (inutilmente ripetitive ed esageratamente numerose) più che alle soluzioni. Solo che il vino, se lo trascuri, fermenta fino a farsi strada. Fino a far saltare il tappo della botte. E così è stato: la capigruppo di maggioranza è ribollita, offrendo al Sindaco un “cahiers de doléances” che non voleva, e non vuole, essere distruttivo o divisivo, ma al contrario farsi spunto e sprone dell’ultima, decisiva fase amministrativa. Insomma, non è un ultimatum ma una chiamata. Però è l’ultima chiamata. Quello che vogliono i partiti di maggioranza, in definitiva, lo si può riassumere in due capitoli.
1. LA COMUNICAZIONE. Voi direte, a questo punto: ancora? Con tutte le conferenze che fanno, serve altra comunicazione? Sì, nel senso che serve comunicare meglio quanto si sta realizzando, mostrando ai cittadini i traguardi davvero raggiunti, evitando di lasciare a briglia sciolta quei consiglieri che si aggirano sui social insultando chiunque abbia un’opinione contraria e scorgendo movenze feline tra i giornalisti che - ma guarda un po’ - non la pensano come loro.
2. IL RIMPASTO. Eccola, come si diceva, la scelta del barrique. D’Alberto ha avuto tempo e modo di capire chi e cosa deve essere cambiato. Sa che, in questa delicata fase, c’è da “tirare fuori le palle” (concedetemi l’elegante francesismo) e dare un segnale forte di leadership. Io non credo, ma è solo una mia sensazione, che sia disposto a sacrificare qualcuno dei suoi, ma sa che deve quantomeno riassegnare le deleghe, ridefinendo qualche ruolo (vedi Core) e resettare una giunta che sembra appesantita.

D’Alberto sa di poter (ancora) contare sui partiti della sua maggioranza, ma sta scegliendo una tattica attendista, una sorta di melina politica che mira a far decantare i fermenti prima di affrontarli. È un errore. Perdere tempo è già grave quando si ha tempo, ma diventa imperdonabile quando non si ha tempo. È una regola della natura. È il vino che detta i tempi, non il mastro vinaio. Attendere troppo, potrebbe significare ritrovarsi con una cantina piena di botti d’aceto. Utile, certo, per arricchire un’insalata, non per governare una città.

ADAMO