Mo’ basta. Basta davvero. Smettetela. Adesso, subito, smettetela di condannare questa città al balletto triste di una politica che si ripiega su sé stessa e che, nel momento più delicato della nostra storia collettiva, si impelaga nel confuso tentativo di mettere insieme due elementi che insieme non possono stare: il gassoso personalismo di troppi e la solida necessità di dare un governo concreto alla città.
E c’è anche, a volerla dire tutta, una liquida sottovalutazione del problema da parte dei cittadini, che fa di questo solo un momento da commento sui social, nel ricorrersi sterile e mortificante dei populismi e dei livori rancorosi.
Mo’ basta.
Non siamo questo.
Non ci meritiamo questo.
Siamo (e ogni tanto dovremmo provare a ricordarcelo) un capoluogo di provincia, per popolazione l’82esimo dei 111 capoluoghi italiani, il più “nordico” tra quelli di un Sud nel quale non si capisce perché continuano a catalogarci, vista la nostra totale appartenenza identitaria a quel Centroitalia che è, da sempre, distillato sapido di tutte le genti e le tradizioni che hanno attraversato queste terre e le epoche. Siamo una città con la sua storia, anche se facciamo di tutto per dimenticarcela, e con una sua ricchezza culturale unica. Ma unica davvero.
Non ci meritiamo questo avvilente teatrino, nel quale tutti, ma proprio tutti stiamo dando il peggio di noi.
Mo’ basta.
Teramo vive il momento più difficile della sua storia: quartieri spopolati dal terremoto; scuole accatastate alla come si può; commercianti devastati dalla crisi e dalla scellerata logica dei piani parcheggi; edilizia privata al rallentatore; opere pubbliche solo teoriche; vita culturale affidata alla passione di chi ci mette del suo; eventi declinati nella sola forma della sagra mangereccia di basso livello; una partecipata per i rifiuti che avrebbe dovuto dimezzare le tariffe, e che invece le ha fatte crescere di pari passo col crescere delle assunzioni; una società dell’acqua che sembra esistere solo perché qualche politico, decaduto o trombato, possa saziare il proprio virile bisogno di farci vedere che ce l’ha più lungo dell’altro politico decaduto o trombato; una sanità che deve costruire al più presto il nuovo ospedale, quello che dovrà curare i teramani dei prossimi cinquant’anni e che invece deve patire il chiacchiericcio inutile di “comitati di quartiere” (si notino le virgolette) , popolati da persone che sembrano avere troppo tempo libero e il lusso di poterlo sprecare; un’università che si sforza di sentirsi parte di una città che non le concede neanche un servizio autobus adeguato. E, last but not least, i nostri ragazzi, che se ne vanno a cercare lavoro lontano, condannandoci ad un futuro senza futuro.
E’ di tutto questo, che dovrebbe discutere la politica cittadina. È per questo, che il Sindaco ha coraggiosamente azzerato la sua Giunta. Per ripartire da qui, dalle domande poste da questi problemi e cercare di trovare risposte possibili.
Per questo, Teramo da venerdì non ha più assessori. E per questo, D’Alberto sta ascoltando i partiti e le liste civiche, per trovare il “come” e non per cercare “chi”.
Invece, ancora una volta, ci ritroviamo perduti nella logica bambinesca dei veti, delle ripicche, delle posizioni autoreferenziali, dei gruppetti e dei compagnucci. È vero, c’è chi sta cercando di dare una connotazione Politica (si noti la maiuscola) al momento, come i dalmati che non entrano in giunta ma lavorano sul programma condiviso, come il Pd che ha chiesto di attuare il programma elettorale ma - giustamente - cercando prima di capire chi ci creda davvero. Altri, troppi, non hanno capito il momento.
Mo’ basta.
Teramo non riparte con un “...però se non entra la De Sanctis, Carginari se ne va”. Teramo non riparte con un “...peró se non resta la Falini, Lancione se ne va”. Teramo non riparte con un “...però se non resta la Marroni, Francia ricomincia”. Teramo non riparte con un “...però la Di Timoteo passeggia sulla spiaggia di Ginoble”. Teramo non riparte con un “...peró Valdo alla Villa ci va tutti i giorni”. Teramo non riparte con un “...però con Niccolò Fabi la piazza era piena”.
Mo’ basta.
Teramo non riparte coi peró.
Teramo riparte coi perché.
E i nostri, li conoscete. No a Mistichelli e alla Falini, perché li abbiamo visti... anzi: non li abbiamo visti in un anno e mezzo. No ad Italia Viva, perché eredita tutto il vissuto politico di Teramo 3.0 (compresa la posizione anti-GIanguido al Ruzzo, il voto in Provincia, la campagna regionale per la Lega). Certo, Dodo non ne ha colpe, ma avrà tre anni e mezzo per “depurare” il partito e prepararlo alle sfide future. No - con dispiacere - alla Marroni, che è persona di spessore, perché la rinuncia a Teramo 3.0 è stato un artificio salvapoltrona, che dimostra quanto non sia ancora riuscita a liberarsi delle zavorre che la frenano. Lei è molto meglio di così, ma fa di tutto per non convincersene. No a quelli del “ci sto se...”, perché fingono vicinanze e intanto chiedono una nomina in qualche ente. No a quelli che “il Sindaco su di me può sempre contare”, perché hanno chiesto un posto per un nipote. No a quelli del “Gianguido non faccia come Brucchi”, perché poi sfoderano il Cencelli e pretendono incarichi. No alla Giunta a sette, che anche noi - lo ammettiamo - avevamo considerato agile e sufficiente. Non è stata né l’uno né l’altro. Teramo ha bisogno di una Giunta a nove, ma che siano nove persone capaci. Con un passato, personale e politico. Con un vissuto, che le metta in condizione di saper gestire in problema e magari trovare una soluzione. Gente che sa fare e che faccia per noi. Un assessorato... non è un reddito di cittadinanza, per garantire a qualcuno uno stipendio che da solo non è riuscito a trovarsi. E la politica non è un lavoro, ma un servizio.
Mo’ basta.
La Giunta è stata azzerata. D’Alberto ha avuto il coraggio di ammettere l’errore, di riconoscere il problema, di fermare l’inerzia improduttiva. Adesso, le consultazioni sono finite. Il Sindaco ora deve avere il coraggio delle scelte. Nove nomi per far ripartire Teramo. Li scelga lui. Anzi: li imponga. Tragga insegnamento dagli errori della prima Giunta e costruisca la seconda, cucendo le persone sul programma, non viceversa.
Nove “perché sì”... senza “peró”.....
Adamo