Se il compito primo e primigenio dell’arte, è quello di scatenare una reazione, aprire un dibattito, provocare una risposta, allora il presepe di Castelli è una grandissima opera d’arte. Se il compito di un presepe è quello di restituire ai fedeli, nel pieno e ortodosso rispetto di una presenza iconica prevista e prevedibile, l’atmosfera rassicurante del presepe casalingo, allora quello di Castelli non è un presepe. E le critiche che stanno piovendo in queste ore, non ultime quelle di NICOLA PORRO e ancora più feroce (con richiami massonici) di LIBERO, ne sono la prova provata. Già, ma sono giuste? È questa cattiveria che merita il presepe castellano? Sì, è vero, non ha la grazia di una natività del Rinascimento, né la cruda immobilità di una pala del Trecento, ma chi dice che non sia un presepe?
E, soprattutto, cos’è un presepe?
Storicamente, una sorta di messa in scena voluta e inventata da San Francesco, che volle dare forma visibile alle Scritture, realizzando una sorta di recita a tema per il popolo in cerca di immagini venerabili. Andrebbe detto, per amore di verità, che il bue e l’asinello sono un falso storico (figli di un errore di traduzione che rese “in mezzo a due ere” il nostro “in mezzo agli animali”), e che tutto il muschio che abbiamo messo nei nostri presepi è sicuramente più osceno di ogni possibile bruttezza artistica, ma non è questo il tema.
Il tema è cosa rappresenta.
Quello conta.
Per chi crede, è il momento in cui Dio si fa uomo, per chi non crede è un momento storicamente così importante, che da quello noi contiamo il tempo. E per quello che mi riguarda, sono felice che un Papa col nome del primo “presepista” ne abbia voluto a San Pietro uno così strano e nuovo. Perché non conta quello che è, ma quello che “significa”. Sono certo che, se esistesse uno scatto fotografico di quella notte a Betlemme, i presepisti della tradizione lo eliminerebbero, preferendogli magari la foto di uno di quei presepi che impreziosiscono le vetrine dei centri commerciali.
Sì, è vero: c’è l’astronauta e il boia.
E le statue sembrano matrioske.
E l’angelo sembra elettronico.
E probabilmente non sarà il più bel presepe del mondo.
Ma è un presepe.
É l’interpretazione artistica di una notte che ha cambiato la storia. Ed è fatto di materiale povero, di terra e acqua cotte. Roba da artigiani, da gente che lavora con le mani per guadagnarsi da vivere. Come faceva il falegname che quella notte, a modo suo, divenne padre. Il presepe non è un’immagine, ma una verità. Quello di Castelli, per chi la sa leggere, ne racconta tante, vecchie e nuove, che cominciano con un pezzetto di argilla e finiscono nelle lacrime di un terremoto. Quelli che lo chiamano brutto, sono i nipoti di quelli che misero le mutande al Giudizio Universale.
Adamo