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PandemiacanaCercavo una rima per “vaccino”. Per dare un titolo a queste mie poche righe. Un titolo che fosse immediato e che, in un attimo, facesse intuire come la penso. Avevo pensato a “vaccino casino”. Non è stata una scelta difficile, perché “casino” è di una chiarezza totale. 

Siamo un Paese che convive col casino. Da sempre. Abbiamo fatto del pressappochismo una regola di vita, fino a farlo diventare sistemico. 

E ce ne vantiamo.

Un tempo, prima che i social ci imbarbarissero il vocabolario, c’era sempre qualcuno che tirava fuori lo “Stellone” italico, una specie di fato benevolo che, nei momenti di massima difficoltà, interveniva per aiutarci. Avevamo dato dignità trascendente all’immanenza del “culo”, Inteso quale manifestazione della fortuna.

E ce lo facevamo bastare.

Poi, è arrivato l’euro. E abbiamo scoperto che non era come “stellone”, che faceva rima con inflazione, e siamo diventati poveri.

Poi, sono arrivati i terremoti. E abbiamo scoperto che “stellone” fa rima con ricostruzione solo nelle conferenze stampa, perché in realtà “ricostruzione” è l’unità di misura del tempo perduto, e si calcola in lustri. 

Poi, è arrivata la pandemia. E lo “stellone” si è spento, ingoiato dal pressappochismo sistemico di un Paese che, invischiato nella melma delle sue incapacità, ha fatto della inadeguatezza un merito.

La vera pandemia italiana, non è il Covid. È l’ignoranza. Nel senso più vero. Siamo un Paese nel quale l’analfabetismo funzionale (se non sapete cosa sia... non affannatevi a chiedervelo) è diventato fondamento decisionale, sostanziatore delle scelte.

Così, adesso ci sembra quasi normale l’aver vaccinato una milionata di “scolastici” e tenere le scuole chiuse. 

Non è normale.

Come normale non è l’aver costretto bar e ristoranti a spendere migliaia di euro, per garantire sicurezze e distanze, e poi costringerli a chiudere.

Come normale non è, vaccinare per categorie e non per ruoli, al punto che adesso abbiamo “personale vaccinato” negli uffici delle Questure chiusi al pubblico, ma non abbiamo una commessa o una cassiera di supermercato, dicasi una, vaccinata. E non abbiamo commercianti vaccinati, eppure i negozi sono aperti al pubblico. A proposito, non ricordo di aver sentito la voce teramana di Confcommercio o Confesercenti.. sul problema... 
E non abbiamo - e lo dico anche pro domo mea - giornalisti vaccinati, eppure siamo categoria espostissima. Però abbiamo vaccinato anche infermieri di reparti che non vedranno mai un paziente Covid. Un po’ come  se vaccinassimo contro la malaria non solo chi va in certe aree dell’Africa, ma anche l’addetto dell’agenzia viaggi che gli vende il biglietto.

Vaccinare per categorie e non per “esposizione potenziale al rischio contagio” è l’errore più grave di una macchina organizzativa che, benché si compiaccia dei propri risultati, in realtà ha fallito su ogni fronte.

A cominciare dalla stessa scelta del vaccino. Sudditi come siamo delle derive culturali, e non solo, del Piano Marshall, abbiamo guardato solo verso “lammerica”, ignorando aprioristicamente i russi dello Sputnik e i cinesi del Sinovax, perdendoci poi in infinite discussioni sulle marche, al punto che già i tuttologi dei social discettano di Pfizer, Moderna e Astrazeneca, con la stessa facilità con la quale senti parlare delle boline di Luna Rossa gente che crede che la “dritta” su una barca sia una cosa che non è storta.

Intanto, la Cina "cattiva" regala vaccini al Sud del Mondo. E noi facciamo finta di non vedere.

E facciamo di tutto, per evitare di farci la domanda delle domande, quella più dolorosa, quella più angosciante: dov’è il vaccino italiano? Quando e perché, questo Paese si è consegnato alla sudditanza delle scelte continentali, rinunciando non solo ad investire nella ricerca, ma anche all’economia generata dal “sistema farmaceutico”?

Lo “Stellone” s’è spento.

E contro il pressappochismo non c’è vaccino.

Adamo