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AMZONMELOZAlla fine, succede così. Succede che se racconti di aver vinto Sanremo, anche se con la canzone che ha vinto c’entri quanto io con gli articoli di Woodward e Bernestein sul Watergate (anzi: io di più, perché almeno faccio lo stesso lavoro, mentre tu non fai il cantante), e ci credi al punto da dedicare una vittoria che non è mai stata tua, poi ti senti in diritto di dover esistere “pubblicamente".
E siccome non sai come si fa, perché quel ritaglio di fama che credi di avere, in realtà si deve soprattutto a quello che tu hai raccontato di te, non a quello che la gente ti attribuisce, allora va a finire che rimedi epocali figuracce.
E quella che ho visto io oggi è stata una epocale figuraccia rimediata dal non vincitore di Sanremo.
L’acclamato “maestro” Melozzi (a proposito, solo a titolo di curiosità, potrebbe rivelare dove e quando ha conseguito il “pezzo di carta” che gli attribuisce la qualifica di direttore d’orchestra?), ormai sentendosi in diritto di esternare, perché crede di avere una platea che pende dalle sue labbra, dopo aver vestito i panni del teramano amante della sua terra, che “rinuncerebbe alla vittoria di Sanremo” pur di vedere nascere un teatro nella sua città; dopo aver lucrato un invito dall’irrisolta corte dei miracoli dei rappresentanti dei quartieri e, tra una cosa e l’altra, aver trovato il tempo di invitare a votare Campli (ricotdando una squadra di basket importante, ma dimenticando la Scala Santa) , oggi ha deciso di toccare un tema “alto”.
Quello del lavoro.
E del diritto di sciopero.
E lo ha fatto con un post che merita di essere ricordato.
Anzi, reso ecumenico.
Ve lo offro.
Dalla prima lettera del non vincitore di Sanremo alle folle che credono che abbia vinto:

«Leggo in prima pagina ovunque dello sciopero dei lavoratori di Amazon, che con uno stipendio base di 1600 euro si sentono frustrati dalla ripetitività del loro lavoro, dopo 3 giorni ti fanno male le mani, dopo tre mesi i polsi. Accusano dolori alla schiena e alle gambe. Lamentano la ripetitività del lavoro. Sono a dir poco sorpreso che si cerchi solidarietà quando noi musicisti siamo costretti a casa da centinaia di giorni, e loro che non hanno mai smesso di lavorare e possono garantire alla propria famiglia un pasto e un tetto ultra dignitoso, si permettono addirittura di scioperare dicendo che "in fondo non è così male" ma protestano perché si può migliorare. Gli farei prendere un vìolino in mano, con quel bozzo che ti nasce sul collo manco fossi don Rodrigo prima di morire di peste. Gli farei sentire i calli di noi violoncellisti, anni e anni a scorrere su quelle corde metalliche, gli farei provare i dolori che provano i percussionisti, e il senso di ripetitività che proviamo quando da bambini iniziamo a fare le scale tutti i giorni su e giu, gli farei sentire il dolore alle gambe di un contrabbassista, il dolore alle labbra di un trombettista che suona note troppo acute. Gli farei provare il dolore che si prova quando ti chiudono il teatro dove hai lavorato per anni. Gli farei provare la frustrazione di aver studiato 10/15/20 anni per poi trovarsi a casa con tutti i teatri chiusi. Almeno loro un teatro lo hanno e possono esprimersi con il loro lavoro, che sicuramente non sara bello come il nostro ma, a quanto pare, molto più utile e forse anche redditizio. Quindi per piacere, teniamo lontani questi pensieri sindacali, ma soprattutto risolvetevi le vostre questioni in privato senza invadere la stampa delle vostre inutili lamentele, oggi come oggi talmente fuori luogo da avermi praticamente tirato per la giacchetta a scrivere un post apparentemente contro i lavoratori, che non avrei mai voluto scrivere. Chi ha un lavoro oggi, per pur duro che sia, non si lamenti quantomeno in pubblico. Tenga le sue lamentele per se e i suoi cari. Rischia seriamente di offendere milioni di italiani, artisti e lavoratori dello spettacolo forzatamente disoccupati dopo anni di investimenti pesanti in termini di studio e di spese di acquisto strumenti, di pagamento insegnanti, scuola, viaggi, visite mediche, etc etc. Chi ha un lavoro oggi sia felice perché lo sciopero in questo momento pub essere solo di chi un lavoro non lo ha più Grazie»

Ipse dixit.
E in un attimo, mischiando lavoro dipendente e non, l’alienazione da ripetitività e fatica del violinista, la frustrazione da automazione di un adulto senza alternative e le lezioni di piano di un bambino magari ricco, ma soprattutto mortificando decenni di rivendicazioni per la dignità del lavoro, annacquando le sacrosante richieste dei dipendenti di Amazon in una miserabile guerra tra poveri, il grande non vincitore di Sanremo scolpisce e consegna all’umanità la sua visione del Mondo: se non sei un musicista, non conti niente. Anzi… visto che quello che affida al suo post sembra essere un sunto delle sue sofferenze, il senso del tutto è che se non sei Enrico Melozzi, non sei nessuno.
L’accoglienza al post del melozzipensiero su Amazon è stata così calorosa, che ha dovuto rimuoverlo.
Perché Sanremo è Sanremo.
Ma le palle so’ palle.
E se non ce l’hai…

ADAMO

la foglia di fico è una rubrica di satira, di politica e di satira politica...