PEFavore, ma proprio PEFavore. Fate i seri. Su questa storia del Pef dello Stadio, fate i seri. Negli ultimi giorni, ho sentito una spaventosa quantità di ovvietà, un tripudio di banalità, in un fiorire di luoghi comuni ed esternazioni ad arte, nel vano tentativo (a mio avviso fallito) di buttarla in caciara. Perché, ogni volta che questa città affronta un progetto importante (e per importante intendo che c’è qualcuno che spende tanti soldi), rigurgita l’antico virus aprutino, che provoca eruzioni vocali quali “ma cussù che vo’ fà?”, “ma duavà cussù?” con l’inevitabile corollario dietrologico dei complottisti in salsa di pallottine, che sanno tutta la verità e ci fanno dono di spiegarcela.
Col risultato che, come sempre, adesso non si capisce più nulla, o quasi.
E allora, con buona pace dei tuttologi da sottoportico domenicale e dei politici dalle rinnovate verginità (dei quali però ricordiamo, purtroppo per loro, ogni azione…), che hanno cercato anche di svelare oscure connivenze tra giornalisti teramani e poteri segreti (so’ fatti così, se non la pensi come loro sei un giornalaio o un pennivendolo asservito), proverò a riflettere a voce alta sulla questione del PEF.
Partendo da due semplici considerazioni.
La gestione dello Stadio costa, e costa tanto, tutto compreso quasi 400 mila euro l’anno. E se non li paga un gestore, li deve pagare il Comune, cioè noi.
In questa storia, la Teramo calcio non c’entra niente, ma proprio niente. Il Pef, è vero, deve prevedere un “quantum” che la squadra deve pagare al gestore, ma finisce lì. Il fatto che, in questo momento storico, presidente e gestore siano la stessa persona, è solo un caso e dobbiamo considerarlo un’eccezione. E’ regola, invece, che chi vuole usare un bene pubblico, deve pagarlo. Che sia il Teramo, o magari (visto che lo stadio è “Comunale”, inteso non come sostantivo ma come aggettivo), un’altra squadra del Comune che giocasse nella stessa serie. Pagano, e si allenano e giocano.
Se queste due considerazioni, fossero lette senza dar ascolto ai guastatori, intuite facilmente che non ci sarebbe bisogno di stare neanche a votarlo, il PEF, perché il fatto che ci sia un imprenditore che si fa carico dei costi, e che garantisce a “prezzo fisso” la possibilità della squadra di allenarsi e giocare, mi pare già abbastanza.
E se poi ci mettiamo la possibilità, si noti bene: non dico certezza ma possibilità, che il project crei anche posti di lavoro e occasioni di sviluppo di aree oggi abbandonate o quasi, allora è un progetto da approvare subito.
E su quel “2080” che sembra spaventare, quasi che ci condannassimo a chissà quale ergastolo collettivo? Quelli che vogliono buttarla in caciara, la considerano una preoccupante ipoteca sul futuro, io la leggo al contrario: fino al 2080 non dovremo preoccuparci della gestione dello Stadio e, sempre fino al 2080, i posti di lavoro promessi nel project saranno garantiti.
Eppure, “È in corso un maldestro tentativo di svendita di un immobile pubblico (che rappresenta il tempio della passione calcistica) che verrebbe gestito dal privato/concessionario fino al 2080”, grida Verzilli (il consigliere eletto grillino, poi convertitosi leghista, prima di scoprirsi “misto”…). “…decisioni irrevocabili sul destino di un fondamentale bene pubblico per i prossimi 60 anni” tuona Italia Viva, alla cui miscellanea composizione locale (un ex Pd, due ex vicesindaci di opposto schieramento, due orfani di Teramo 3.0) sembra sfuggire il fatto che il Bonolis non è un “fondamentale” bene pubblico. Perché “fondamentali” beni pubblici, sono le scuole, gli ospedali, le caserme e i Municipi. In uno stadio, si gioca a pallone, attività piacevole, ma di qui a considerarla “fondamentale” ce ne corre. E tanto.
Vabbè, è vero anche che sono oppositori, e quindi si oppongono.
Male, ma si oppongono.
Del resto, il risultato elettorale ha definito con chiarezza la qualità dell’opposizione politica di Teramo 3.0 e del M5S.
Glisso anche sul fatto che, contro il Pef, si sia espresso il Coordinamento dei Comitati di Quartiere, perché tutto quello che sostiene, nella mia personalissima scala di valori, conta quanto il due di coppe con la briscola a denari. E per due di coppe intendo quello plastificato della Dal Negro di Treviso, non quello che chiudeva Corso San Giorgio al quale, in nome della memoria collettiva, attribuisco grande valore.
Quello che davvero mi infastidisce e che, in questa vicenda, sparge un velo di diversità, è però l’atteggiamento di qualche esponente della maggioranza, che non fa mistero di un malpancismo ormai cronico e che, anzi, cerca di lenirne il fastidio condividendolo. Non faccio nomi, perché bastano i cognomi: Lancione e Pilotti. Il primo, devo dire, lo capisco: il suo dna comunista gli rende geneticamente impossibile accettare il “privato” nella gestione del “pubblico”. Ci sta. Pilotti no, non lo capisco. Non capisco perché stia remando contro, al punto - sostengono i maligni - di arrivare a chiamare altri indecisi per spingerli al voto contrario. Non ci credo. Non posso pensare che un ex capogruppo Pd, sia adesso così disallineato da manifestare pubblicamente il suo dissenso. E non voglio neanche pensare che lo faccia, in una sorta di ripicca, con l’animo del guastatore per partito preso, anzi: per partito… perso. In Politica (si noti la maiuscola), la maggioranza si confronta e poi vota compatta. Granitica. Se non sei d’accordo, lo dici e poi ti adegui, sennò te ne vai. E’ facile, no? Certo, si lucra maggiore visibilità dando noia. E’ un po’ una rilettura politica del morettiano: “si nota di più se non vado, o se vado e sto in disparte?”, come dire: “mi si nota di più se voto contro, o se remo contro e non voto?” Strategie da politica minore, tecniche stantìe di caccia al consenso, roba da elezioni al circolo dopolavorista, candori partitici vecchio stile (che funzionavano quando credevamo all’olandesina che vola vola), non da discussione su un progetto come questo.
Perché questo è un progetto importante.
Che non mortifica la più importante realtà calcistica del Comune (chi lo dice, vi sta gabbando).
Che non disintegra commercialmente il Centro storico, perché nell’area dello Stadio e del Gran Sasso, erano già previsti 5mila metri quadri a destinazione commerciale, dei quali solo un migliaio impegnati (da Decathlon), quindi che sarebbero nate altre realtà commerciali, lo sappiamo da tempo. Chi si stupisce è in malafede.
Che crea posti di lavoro e nuovo sviluppo in un’area “ferma”-
Che ci fa risparmiare tutti i soldi della gestione fino al 2080 e, magari (la butto lì) ci consentirà di rivedere lo Stadio di nuovo arena per grandi concerti.
E non solo: se dovesse saltare la convenzione (e potrebbe) il Comune rischierebbe anche di dover restituire all’attuale gestore 3 milioni e rotti di lavori già effettuati.
Da ultimo: prima di pensare che sarebbe un bene per il Comune gestire il nuovo Stadio, andate a vedere il vecchio.
PEFavore, fate i seri.
ADAMO