Nella classifica della capacità di amministrare, elaborata dalla Fondazione Etica, sulla base di una serie di parametri, Teramo è la prima …dei peggiori. Il capoluogo aprutino guida il plotone di quelli che non hanno raggiunto la soglia accettabile dei 50 punti sui cento disponibili, assegnati in base ad un incastro logaritmico incentrato sui risultati di sei parametri: bilancio, governance, personale, servizi, appalti e ambiente). Teramo raggiunge solo quota 39, condivisa con Campobasso, Potenza, Perugia e Imperia, nella classifica che vede in maglia nera Agrigento con 14 e sul gradino più alto del podio Reggio Emilia con 77, seguito da Prato con 74 e Bologna con 73. Questi i numeri. A questo punto l’attento lettore si chiederà a cosa servano queste classifiche, se siano in qualche modo importanti o se siano, invece, solo un esercizio matematico. La risposta, ce la offre, con disarmante chiarezza, la presidente della Fondazione Etica, Paola Caporossi, che al Corriere della Sera (il giornale che oggi pubblica queste classifiche) spiega: “Questi dati devono servire da bussola per gestire al meglio i fondi del Pnrr”. Ve lo traduco: non serve dare i soldi a chi non sa amministrare, ma bisogna premiare i virtuosi. Adesso, potremmo stare qui a discutere per ore, e ore, sullo scopo degli investimenti e su come dovrebbero, in un’ottica di riequilibri, investire su chi fatica di più, ma l’Europa non ragiona così. Il cuore del continente non è latino e solidale, ma teutonico e algebrico: se amministri bene ti aiuto, se non sai amministrare non meriti aiuto. Insomma, il rischio (ma è molto più di un rischio) è che Teramo venga penalizzata nella ripartizione dei fondi de Pnrr e che, alla fine, si resti cornuti e mazziati. La domanda, a questo punto, è quella che dobbiamo porci tutti insieme: ce lo meritiamo? La risposta, la mia risposta, è sì. Perché - pur fatte salve tutte le possibili eccezioni a discolpa (terremoto etc) - l’amministrazione di D’Alberto non ha dato il colpo di reni che ci si aspettava. Anzi, dopo l’ultimo biennio del Brucchi bis, col governo cittadino ripiegato su sé stesso in un continuo confronto-scontro improduttivo e letale, ci si aspettava un cambio di rotta deciso e decisivo. Che è mancato. Vuoi per inesperienza, vuoi - soprattutto - per una diffusa (e da me più volte sottolineata) mancanza di concretezza, la Teramo di oggi è sospesa in un limbo popolato di attese e aspettative, ma intanto i mesi passano senza novità. Viviamo come in uno spogliatoio, nell’attesa interminabile di entrare in campo a giocare la nostra partita, ma col rischio di trovare … quando sarà il momento, le luci spente, l’erba non tagliata e lo stadio vuoto.
ADAMO