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QUASITA

Quello che ci corrode, il male oscuro che fa dell’Italia un Paese perennemente alla rincorsa di una civiltà sfuggente, condannandoci all’eterna condivisione di un provincialismo minimo, è un virus antico.
Antichissimo.
E unico.
È la quasità.
Quella vocazione tutta nostrana all’approssimazione, quella perenne incompiutezza, quel dettaglio mancante che mortifica le aspirazioni di normalità.
Sì, di normalità.
Perché è nel gioco semplice delle cose quotidiane, che la nostra quasità si manifesta in tutta la sua avvilente prepotenza.
Nelle grandi imprese, negli atti eroici, nei lampi di genialità, magari, riusciamo anche e ancora a metterci del nostro.
È nella routine del vivere quotidiano, che la quasità ci devasta.
È quel nostro essere broccioni per indole, imprecisi per vocazione, pressappochisti per tradizione, che ci preclude quel salto di civiltà, che da sempre raccontiamo a noi stessi di aver compiuto, consapevoli in realtà di non averlo mai neanche tentato.
In fondo, è quasità anche questa.
Come quasità è un sistema sanitario che in Trentino paga anche l’apparecchio per i denti, ma in Calabria rende chimera un Pronto Soccorso.
Quasità è vaccinare in piena pandemia i docenti delle scuole chiuse, non le commesse dei supermercati aperti.
Quasità è una comunità montana in riva al mare.
Quasità è il conto presentato a Falcone e Borsellino, per la “vacanza” all’Asinara.
Quasità è un Cayenne parcheggiato sullo stallo dei disabili.
Quasità è un aereo che cade nel mare di Sicilia, e da 42 anni non sappiamo perché.
Quasitá è pensare al reddito di cittadinanza, ma poi non controllare se lo intasca qualcuno che, la “cittadinanza”, la vive al 41bis dell’Ucciardone.
Quasità sono le elezioni, che tanto non le perde mai nessuno.
Quasità è finanziare le università anche in base ai risultati della ricerca, ma senza finanziare la ricerca.
Quasità è lo scaffale della pasta vuoto.
Quasità è premiare lo scoop di Emilio Fede che annuncia lo scoppio della guerra del Golfo, solo perché guardava Peter Arnett sulla Cnn.
Quasità è il museo del Gatto che apre a Teramo, mentre a Pompei frana il muro di una domus.
Quasità è “…l’autobus delle sette e mezza, a che ora parte?”
Quasità è raccontare a chi fa il supplente da vent’anni, che “la scuola è il cuore della formazione”.
Quasità è “con la cultura non si mangia”.
Quasità è lo scontrino della buvette del Senato, che gira ormai da dieci anni.
Quasità è il commentar forbito di quelli che sfoderano “non cielo dicono”, “io l’o sempre saputo”, “non c’è la posso fare”, “..sto affianco..”, “apparte tutto”, “tutto apposto”, magari analizzando temi di politica internazionale.
Quasità è mandare i pullman ad accogliere i profughi della guerra “russa”, e le navi a respingere quelli delle guerre africane,
Quasità è “l’Italia ripudia la guerra”…e 150 milioni di euro in sistemi anticarro e antiaereo, mitragliatrici leggere e pesanti che partono per l’Ucraina.
La quasità.
La condivisa condanna collettiva di un popolo, da sempre sospeso tra aspirazioni mitteleuropee e borbonica incapacità di assumersi responsabilità, costantemente allea ricerca della via facile, del sacrificio ma un tanto al chilo, della raccomandazione, della nicchia di privilegio personale.
Fino a creare un sistema di valori e una percezione della vita che ci rende, forse sì, simpaticamente diversi, curiosamente folcloristici, magari anche estrosamente creativi, ma anche del tutto inadatti al mondo che verrà.
Che pretende serietà.
E qualità.
Non quasità.
Perché le cose, e i fatti, e le circostanze, hanno un loro nome, e dobbiamo trovare il coraggio di darglielo.
Perché un rigore tirato sul palo, sarà sempre un rigore tirato sul palo, non sarà mai …quasi gol.

ADAMO