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TERAMOVUOTASiamo sempre di meno.
Un lento, progressivo spopolamento, che ci porta oggi, per la prima volta dopo venti anni, a scendere sotto la soglia dei 52mila residenti.
Altro che cinquantacinquemila, come ci sentiamo ripetere, ogni volta che si parla di “residenti a Teramo”, siano meno.
Molti meno.
Siamo, secondo l’Istat, 51.891
Sempre che, dal 31 dicembre ad oggi, non se ne siano andati altri.
Meno di 52mila persone.
E non c’entra il terremoto, perché le scosse le abbiamo subite nel 2016, quando eravamo 54.775, e non se ne sono andati in tanti, anzi: visto che nel 2017 eravamo 54.338 e nel 2018 addirittura un po’ di più, ovvero 54.443.
Certo, direte voi, non significa che molti non se ne fossero andati, ma se ne erano andati… per ritornare, cioè si erano trasferiti in attesa di riavere la casa sistemata, senza trasferire la residenza.
Invece, negli ultimi quattro anni, è stata un’emorragia.
Un flusso costante di residenze trasferite.
Una media di 850 l’anno.
Non è un caso, né una coincidenza.
Sono famiglie che se ne vanno.
Che scelgono di non restare a vivere a Teramo.
Un calo costante.
A fine 2018, come detto, Teramo aveva 54.443 residenti, a fine 2019 eravamo 53.998, a fine 2020 siamo diventati 52.476 e a fine 2021, Teramo tocca quota 51.891 residenti.
Come nel 2002
Vent’anni… cancellati.
Una perdita pesantissima di 2.552 residenti.
Un esodo.
E qui, il discorso non può che farsi politico. Perché a metà del 2018 il Comune ha cambiato Sindaco, e al commissario che gestì il dopo Brucchi, si è sostituito Gianguido D’Alberto, con un progetto politico nel quale, al ballottaggio, l’elettorato teramano ha creduto, sperando che la scelta di discontinuità col Centrodestra, che aveva retto la città per quasi quindici anni potesse dare a Teramo una nuova spinta propulsiva.
La spinta c’è stata, ma …espulsiva.
2.552 residenti in meno in tre anni e mezzo, sono un dato eloquente della mancanza di appeal della nostra città.
E della debolezza di una Giunta che, fin dall’inizio (e chi mi legge lo sa) ha palesato difficoltà di gestione e pagato il prezzo di una immaturità a tratti insopportabile.
Il Sindaco ha anche tentato aggiustamenti in corso d’opera, l’efficacia dei quali è sempre dimostrata dai numeri dell’esodo residenziale.
E non tiratemi fuori il discorso della pandemia, perché la pandemia non c’entra niente.
Nessuno ha lasciato Teramo “per la pandemia”, perché ovunque abbiano scelto di andare quei 2.552 teramani, il Covid c’era di sicuro.
Non è questione di pandemia.
E’ questione di ricostruzione immobile, di servizi inefficienti (provate ad andare all’anagrafe…), di lavoro mancante perché non esiste alcuna politica di attrazione di nuovi investimenti, di vivacità culturale confusa con quella “Teramo Indomita” costata tremila euro al giorno, di ripensamento della qualità urbana confuso con una striscia di vernice rossa, di riqualificazione commerciale che ha portato sul corso venditori di ciabatte e pigiami a 9 euro (absit iniuria verbis, ma non è merce da Corso principale), di progressivo scollamento tra il Palazzo e la città, scolpito negli inutili protagonismi di qualche assessore pieno più di sé che di idee, o di qualche aspirante sindaco che gioca a fare l’eminenza grigia, senza averne competenze e capacità.
Duemilacinquecentocinquantadue teramani che se ne vanno, in tre anni, sono una sconfitta per chi gestisce la città.
Perché una città ben gestita è una città che attrae.

E Teramo non attrae
Temo che non basterà cambiare due assessori, sempre che il Sindaco decida di farlo davvero, ad un anno e poco più dalle elezioni.

ADAMO