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CITTADELLA

C’era una volta, la “Cittadella della Cultura”…

Però, adesso che ci penso, il “c’era una volta” spetta alle favole, quelle che tramontano in un lieto fine. In questa vicenda, invece, un finale non c’è, quindi non può essere lieto.

Ricomincio.

Questa è la storia della “Cittadella della Cultura”…

Però, adesso che ci penso, una storia, perché la si possa definire tale, deve avere un inizio e uno svolgimento. Una trama insomma. Invece, qui non c’è trama e anche l’inizio è un po’ fiacco.

Ricomincio bis.

Questo è il progetto della “Cittadella della Cultura”…

Ecco, adesso sì, adesso funziona, perché la Cittadella ancora non c’è, i lavori non sono ancora iniziati, né si sa se e quando inizieranno, ma il progetto c’è. E’ costato già più di un milione di euro. Eccome se c’è.

A pagarlo, è stata l’Università di Teramo. Perché, nell’incerta vicenda che sto per raccontarvi, c’è un incastro iniziale davvero curioso. Provo a spiegarvelo, senza fare confusione: l’idea è della Regione, i soldi sono dello Stato, il bene è della Asl, la visione strategica è del Comune e il realizzatore è l’Università. Anche un appassionato di contorsioni burocratiche e di strategia dell’intreccio pubblico, intuirebbe che già dalle premesse la cosa si presenta complicatissima.
E infatti.
Presentato con grande - e giustificata - enfasi dall’allora governatore Luciano D’Alfonso, che l’aveva inserito nel Masterplan, il progetto della “Cittadella della Cultura” è in realtà una vera e propria opera di ripensamento di quello spicchio di tessuto urbano del Centro Storico di Teramo, che per secoli ha ospitato uno dei più grandi manicomi del Regno delle Due Sicilie.
L’idea è affascinante: «Una grande torre scenica che di notte si illumina come una lanterna, destinata a modificare significativamente lo skyline della città, un’aula magna o teatro da 500 posti, in sotterranea, sulla quale in superficie, a specchio, corrisponde un anfiteatro di altrettanta capienza, sovrastato dalla torre e intersecato sul livello stradale da un lama d’acqua, poi un auditorium, il recupero di alcuni padiglioni per la sede del Dams e la creazione di studi televisivi per i ragazzi di Scienza della Comunicazione, facoltà che si dovrebbe trasferire proprio nella cittadella della Cultura, e poi verrà abbattuto il muro di reclusione del Novecento e verrà recuperata l’intera rete stradale interna alla città che allora fu interrotta con la sua costruzione».
Bello, vero?
Un “giocattolino” da più di 30 milioni di euro.
E tutto questo, che fine ha fatto?
Eppure, l’Università ha speso, e tanto, perché il progetto si avviasse.
E ha speso soldi suoi, che poi immagino cercherà di farsi restituire dal Masterplan, ma intanto li ha spesi.


Faccio due conti: quasi 7 mila euro per il bando (tra pubblicità e accessori), 50 mila per i rilievi scanner e laser, 120 mila per pulizia e rimozione di oggetti che ostacolavano le perizie, 49 mila per la mostra dei progetti, 8 mila per il concorso (gettone ai componenti la commissione etc), 1 milione per il progetto, che sfiorerà il milione e mezzo alla fine.
Tanti soldi.
Per arrivare a cosa?
La risposta è nella lettera che lo stesso Luciano D’Alfonso ha scritto a Padre Damiano, Rettore del Santuario della Madonna delle Grazie, e nella quale il senatore “padre” del Masterplan chiede la divina intercessione per salvare il progetto dalla “Babilonia”.

«Le risorse finanziarie per la rinascita del Manicomio ci sono tutte, e grazie a Dio sono state collocate per tempo nella giusta direzione. - scrive D’Alfonso - Poi è partita la stagione della elaborazione progettuale, che mi risulta essere stata assegnata idoneamente a professionalità dì rilievo».
E poi?
«… devo prendere atto che la politica a questo punto non riesca evidentemente ad allineare tali volontà necessarie»
Dunque, serve un aiuto dall’alto, anzi: dall’Altissimo.


«Credo molto alla Parola del Vangelo, e credo molto alla Parola amministrata nell’adeguatezza di una convocazione liturgica, come la tradizione millenaria della Chiesa apostolica - continua D’Alfonso - Mi sono permesso anche di sottoporre la mia esigenza al Vescovo di Teramo se può validare questa richiesta di aiuto, affinché predisponga gli animi delle persone che hanno ruolo pubblico su questo tema in questo momento particolarissimo».
Certo, la divina intercessione potrà molto, ma nell'attesa, i primi (quasi due milioni) se ne sono andati.
E io, laicamente malfidato, sono convinto che le colpe siano degli uomini e della burocrazia, che poi è sempre colpa umana.
Una colpa umana che rischia di farci perdere milioni su milioni di euro e di congelare, per sempre, l’ex manicomio nella sua condizione attuale, muto quanto inutile testimone di un tempo lontano.

E questa sì, che sarebbe una cosa …da pazzi.


ADAMO