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Mi chiedevo come e quando, in vista di Sanremo, il già non-vinciitore del Festival, Enrico Melozzi, avrebbe trovato il modo di strappare qualche like e, soprattutto, di ridare visibilità alla sua esistenza mediatica, che mi pare in palese caduta libera.
All’inizio, ci ha provato raccontando alla sua platea di aver avuto l’incarico di dirigere tre - dicasi tre - cantanti all’Ariston, ma con scarsi risultati, visto il calibro dei cantanti affidatiglisi, ovvero Gianluca Grignani, che deve la sua popolarità più alle prese in giro di Pio e Amedeo che alla memoria della sola canzone che di lui si ricorda, e poi Mr Rain e Sethu, sui quali non mi esprimo essendo per me due emeriti sconosciuti (non che la cosa mi provochi dolore), ma per i quali temo che il titolo di una delle due canzoni sia terribilmente profetico: “cause perse”.
Poi, il Nostro, ha deciso di cavalcare l’onda della polemica, arte nella quale eccelle, basti ricordare l’occupazione dell’ex Oviesse a Teramo, con relativo annuncio di mirabolanti operazioni culturali, poi dissoltosi subito dopo la campagna elettorale. Cavalcare una polemica, offre visibilità.
Quale migliore occasione della polemica scatenata dalle dichiarazioni di Uto Ughi contro i Maneskin?
Apro una parentesi, per chi non lo sapesse, Ughi, che è considerato uno dei più grandi violinisti al mondo, nel presentare una stagione concertistica alla Chigiana, ha detto che i Maneskin sono: «Un insulto alla cultura e all’arte».
Affermazione quanto mai infelice, io credo, visto che l’arte è percezione soggettiva e non oggettiva e che la cultura è tutto quello che appartiene al manifestarsi dell’ingegno, ma pur sempre affermazione di un personaggio che ha titoli e curriculum che meritano rispetto. Tanto più, che poi ha spiegato: «Ogni genere ha diritto di esistere ma quando si fa musica, non quando si urla e basta».

Il gap, appare generazionale, più che musicale.

Contro gli “urlatori”, si mossero movimenti culturali negli Anni ’60.

Storia vecchia.

Di quelle che in fondo lasciano il tempo che trovano.
Non mi risulta, infatti, che i Maneskin abbiano deciso di rispondere ad Uto Ughi.

A meno che non mi sia sfuggita una qualche loro replica, non mi pare che per ora abbiano commentato.
La migliore delle risposte agli attacchi… è sempre l’indifferenza, no?
Risponde, invece, il non citato Melozzi, del quale dubito che Ughi conosca l’esistenza.

Memore dell’essersi autodichiarato vincitore di Sanremo, per aver diretto i Maneskin, che il Festival - loro sì - l’avevano vinto davvero, il violoncellista teramano si sente in dovere di dire la sua.
E lo fa a modo suo.
«Difficile non avere pietà per un musicista che raggiunta una certa età, anziché ritirarsi si ostina a suonare in pubblico, comprendendo a pieno quanto la musica possa mantenere in vita chi di musica ha vissuto. Ma molto difficile avere pietà per un violinista così stonato, che non solo si presenta in pubblico senza vergogna, ma che soprattutto si permette di offendere e sminuire pubblicamente le nuove generazioni».
Una melozzata doc, che gli scatena contro anche qualche palata di polemiche, da parte proprio di quella platea social che l'osannava.
E  davanti alla reazione contraria del suo pubblico, che fa polemica sulla sua polemica,  il Nostro va in affanno, tanto che deve commentare e spiegare: «Non si contesta la considerazione del rock e pop che ha Uto Ughi, ma la modalità utilizzata per condannare ed insultare un gruppo di giovani musicisti dall’alto di un piedistallo di presunzione basato sulla pretesa di poter giudicare graniticamente il mondo musicale in virtù del suo status artistico». 


Ricapitolando: Melozzi contesta ad Ughi di aver giudicato i Maneskin dall’alto di un “piedistallo di presunzione”, e poi giudica Ughi dall’alto del suo piedistallo di presunzione.

Perché Sanremo è Sanremo...

ADAMO