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VOMITAMNIAHo scritto il mio primo articolo il 4 maggio del 1986. Trentasette anni fa.

Ci pensavo domenica mattina, mentre, alle 7,30, scendevo per il Corso verso piazza Martiri, passeggiando tra i gazebo del Villaggio del Giro d’Italia, che intanto si andavano montando. Arrivato in una piazza Martiri ancora deserta, incontro un signore anziano, che rompe il silenzio con un «Fai schifo» e poi, forse sospettando che non avessi sentito, rinnova il saluto: «Fai schifo, smettila di attaccare Gianguido… fai schifooo».
Al terzo saluto, s’è girato anche il cameriere del Grand’Italia, che stava sistemando i tavoli sotto i portici.

Non era la prima volta, che quell’elegante “signore” mi manifestava il suo affetto.
Era già successo, nella piazzetta dietro la Tercas, mentre parcheggiavo per andare a seguire l’inaugurazione della sede del Sindaco uscente. In quell’occasione, al «Fai schifo» aveva aggiunto anche un «Panzone di merda», perché ci sta sempre bene un bel riferimento fisico, poi era stato allontanato da un altro signore.


Ho scritto il mio primo articolo il 4 maggio del 1986. Trentasette anni fa.

Ho visto la fascia tricolore sulle spalle di Pietro D’Ignazio, Antonio Gatti, Angelo Sperandio, Gianni Chiodi e Maurizio Brucchi, ho raccontato anche di due commissari straordinari, Di Mattia e Pizzi, e con tutti i Sindaci ho avuto sempre lo stesso atteggiamento: tre anni di “giudizio sospeso”, perché nessuno nasce imparato e fare il SIndaco non è facile, e poi due anni di verifica puntuale, attenta, certosina, sempre coi documenti e mai coi pregiudizi.

Esercito il diritto di critica, sempre e solo per il loro ruolo pubblico, nei confronti di quelli che hanno la possibilità e il potere di difendersi.

E ho sempre pubblicato risposte e repliche.

Ho scritto il mio primo articolo il 4 maggio del 1986. Trentasette anni fa.

Ma mai, e ripeto mai, e sottolineo mai ho visto quello che sta succedendo in queste settimane e, in particolare, negli ultimi giorni. Lo sfogo del bifolco in piazza Martiri, è solo uno dei momenti della “vomitata” costante della quale, con grezza ostinazione e fiera rozzezza, i “supporter” del Sindaco uscente mi fanno omaggio da quando, con le prove alla mano, ho cominciato a chiedere ragione allo stesso Sindaco, e ai suoi assessori, di tutto quello che hanno fatto e soprattutto, non fatto in questi cinque anni.


Ho scritto il mio primo articolo il 4 maggio del 1986. Trentasette anni fa.

Ma mai mi era successo di ricevere una quantità di insulti pari a quella che mi offrono, quotidianamente, alcuni degli esponenti di quella che, un po’ a fatica, considero l’amministrazione che rappresenta i teramani. Cinque anni fa, quando riservai le mie critiche ad una storia di governo che consideravo ormai esausta, appoggiando dichiaratamente D’Alberto, mai mi capitò di essere definito «Maiale», come ha fatto il consigliere Vincenzo Cipolletti. Né mi successe di ricevere messaggi, nei quali mi si spiega «Attacchi Gianguido perché non vi ha foraggiato», come ha fatto il primo degli eletti della lista del Sindaco, Lanfranco Lancione. E come potrei non citare l'ex libraio Topitti, che si definisce partigiano e comunista, ma trasuda nostalgie da censura stalinista, che spaccia maldicenze, nella convinta illusione che scrivere su facebook significhi esistere. E quella sua candidata,, signor Sindaco, che ad ogni mio articolo mi scrive in privato «Appena vinciamo te ne devi andare da Teramo», commento identico a quello ascoltato da una mia collaboratrice, nella sua stessa sede elettorale. Per non dire del «Venduti», dello «Schifosi», dei vari “certafogna”, “certamerda”, “certacazzata” e altre piacevolezze simili. Ieri mattina, una novità: dopo l'articolo sullo stipendio dell'assessore Filipponi, una telefonata anonima: «T'è rimasto poco, la prima cosa che facciamo appena vinciamo è cacciarti da Teramo, venduto del cazzo». E non vi tedio con la dozzina di profili facebook (più o meno falsi) incentivati dal miserabile amministatore di un gruppo social, e utilizzati da idioti che vivono le loro vite marginali nell’attesa dei miei articoli, solo per poterli criticare, senza ovviamente mai entrare nel merito.
Vomitano, e basta.
E vi risparmio quello che ho letto sugli screenshot di una  chat della maggioranza, che qualcuno, pur vergognandosene, mi gira.

E’ capitato anche di leggere, sulle pagina Facebook di un consigliere comunale,  un riferimento a me e alla collega Elisabetta Di Carlo come “Olindo e Rosa”, con il sorridente commento di un Sindaco del Teramano, amico del consigliere e parimenti inutile per la collettività.
Faccia un atto di coraggio, signor Gianguidosindaco: rammenti ai suoi servi quanto le costó, cinque anni fa, il mio appoggio. Chiarisca alla confusa umanità dei suoi schiavi quanto fosse “prezzolato” il mio invitare i teramani a votarla. Mi usi quale esempio, per spiegare alla sua corte stolta abituata a vivere sotto padrone, come è fatto un uomo libero. Anzi: un giornalista libero.
Ma so che non lo farà.
Perché in fondo, quegli insulti le sono utili.
Per non dare mai una risposta.

Per non offrire un chiarimento.
Per evitare spiegazioni
Mai che, ai miei chiari, documentati, verificati e verificabili rilievi critici, qualcuno argomenti una risposta sui fatti. 

Mai.

Solo insulti, vomitate a piena bocca.


Ho scritto il mio primo articolo il 4 maggio del 1986. Trentasette anni fa.

Ho visto “tante Teramo”, una per ogni Sindaco, ognuna con uno stile diverso e con una diversa qualità del dibattito.

Signor Gianguido Sindaco, è questa la “sua” Teramo?

E’ questa la sua idea della Politica?

E’ questa vergognosa accozzaglia di belluini insultatori, la sua squadra?

E’ questa vomiteria, lo stile della “sua” Teramo?

E’ questo indecente troiaio, che dobbiamo tollerare?

Eppure, non ho sentito la sua solidarietà, quando ho pubblicamente denunciato il trattamento che la sua gente stava riservando non a me, ma ad un giornalista.

Non ho raccolto la sua vicinanza, quando ho pubblicato gli insulti che esponenti della sua maggioranza mi riservavano.
 Ho apprezzato il suo sdegno, per il “frocio” riservato all’amico Luca, ma ho anche visto l’autore del “maiale” seduto vicino a lei, nel giorno della presentazione della sua lista.
Sappia Sindaco che quello che le racconto, non è per me motivo di preoccupazione: ho spalle e palle così grandi da aver retto tre attentati, si figuri quanto possa preoccuparmi la ciarlante inesistenza dei suoi beceri pretoriani.
Invece, mi preoccupo per Teramo.
Anzi, per quello che lei ha fatto della nostra città, avvitandola sulle spire di un inarrestabile declino, che cerca di nascondere, ma senza riuscirci, offrendo al popolo nani e ballerine e nascondendo sotto al tappeto la polvere di una spaventosa inefficacia. 
E’ questa la “sua” Teramo?
La risposta è: Sì
Sì, signor "gianguidosindaco", è la “sua” città, quella nella quale alle domande di un giornalista, si risponde con fiotti di vomito.

E’ la “sua” città, quella nella quale, ad un giornalista che chiede dell’uso del pubblico denaro, degli affidamenti, dei siti strapagati, delle statue comprate e montate in pochi giorni, dei rapporti tra una ditta segnalata dall'Anac e un dirigente comunale, si risponde con una palettata di merda.
Oppure non si risponde affatto, come fa l’assessore Filipponi, che evidentemente sente di essere superiore, anche ai ruoli che la Costituzione affida a me e a lui.

Nei cinque anni del suo mandato, il livello del dibattito politico, e purtroppo il livello stesso del dibattito cittadino, si è imbarbarito fino a farsi rurale.

Avete coltivato la crassa ignoranza di un popolo al quale avete offerto l'illusione di un palco illuminato, per nascondere il buio dell'azione amministrativa.
Avete trasformato il "salotto buono" della città in una birreria, con annessi vicoli pisciatoi e giardini vomitatoi.
E quel che è più grave, ne andate fieri.
Senza che lei muovesse un solo dito, per evitare questo scadimento, la “sua” Teramo ha sublimato la volgarità, ha legittimato la pochezza, ha fatto dell’insulto una regola, dell'ignoranza un merito e dell'incapacità un valore.
E questa sarebbe la “Sinistra”?

Questa inciviltà sarebbe il "civismo"?
Mi aiuti, la prego: mi spieghi come si conciliano il dialogo, la tolleranza, il rispetto delle altrui opinioni, la politica dei valori, con il silenzio complice che lei concede agli insulti dei suoi consiglieri comunali?

Cinque anni fa, al primo punto delle sue linee programmatiche lei scriveva: «Il grave degrado economico, sociale, civile e culturale che colpisce Teramo è sotto gli occhi di tutti… ».
Dopo cinque anni, l’unica novità è un aggettivo in più: “politico”.

Credo lei possa andarne fiero.

ADAMO