“Dica 33”. Era questa, tra verità e barzellette, la battuta che si voleva fosse la base stessa di ogni visita medica. Con lo stetoscopio alle orecchie e la testina appoggiata sulla schiena del paziente, il medico invitava a scandire quel numero, che consentiva “rimbombi” rivelatori. In realtà, quello che cercava era un “fremito vocale tattile, cioè una vibrazione sonora che viene prodotta dall’aria che va dalla laringe e risuona nei bronchi, amplificata dall’incastro delle consonanti vibranti e dentali.
Il “dica 33” che mi interessa oggi, invece, non è medico, ma giudiziario, visto che a invocarlo non è stato un camice bianco ma una toga nera, quella del magistrato che ha inviato alla Teramo Ambiente una proposta di transazione che evoca un 33, solo che non si tratta di rimbombi polmonari, ma rimbombi di… cassa.
Trentatré sono, infatti, le migliaia di euro che il giudice propone alla TeAm di pagare all’ex presidente, Luca Ranalli, per chiudere la causa che questi ha mosso alla stessa Teramo Ambiente all’indomani della sua “cacciata”.
E qui, vi sblocco un ricordo: Ranalli era il presidente della TeAm, quando il Comune rilevò la quota di Gavioli, decise di cambiare lo statuto, introducendo la norma che prevede la decadenza del presidente se si dimette tutto il Cda, che nel precedente statuto, ovvero quello che “vigeva” quando Ranalli era stato nominato, non era previsto. Attenzione, perché la cosa si fa curiosa: quando Gavioli vende la sua quota, è amministratore delegato… e non si dimette. Cioè, non è più proprietario di nulla, ma resta in carica.
Se si fosse dimesso, sarebbe stato sostituito e Ranalli sarebbe rimasto in carica, per altri nove mesi, come prevedeva il suo contratto.
Invece, non va così: Gavioli resta in carica, perché il Sindaco D’Alberto glielo chiede, per poter approvare in cda il nuovo statuto.
E così succede, il piano gianguidico funziona: Gavioli approva e si dimette e, visto che c’è il nuovo statuto, Ranalli decade.
Nove mesi prima della naturale scadenza.
D’Alberto, ormai “padrone unico” della TeAm, sceglie un presidente plenipotenziario e nomina Sergio Saccomandi.
Ranalli, uscendo, lascia sulla scrivania un’azione legale per il saldo dei 9 mesi di mancata carica e per il danno d’immagine.
Il Comune, con quella naturale tendenza all’arroganza che abbiamo imparato essere la cifra stilistica della gianguideria, non risponde.
E la causa va avanti,.
Fino a pochi giorni fa, quando è arrivata negli uffici della TeAm la proposta transattiva del giudice.
Trentatremila euro.
Ripeto: del giudice, non di Ranalli.
Che è un po’ come se il giudice stesso dicesse alla TeAm: «Secondo me dovreste pagare questa somma e chiudere la causa, perché se andate in aula vi costerà molto di più».
Ovviamente, è una mia banalizzazione, ma credo renda bene la situazione.
Quella che mi risulta più difficile da rendere “banale”, è invece la reazione che la TeAm avrebbe avuto all’arrivo di questa proposta, visto che - sembra, pare, si dice - non tutti sapevano del rischio di dover pagare questo risarcimento.
Tanto che chiedo pubblicamente alla stessa TeAm: il Cda ne era informato?
In bilancio, è stata prevista la somma per coprire il rischio di pagare questo risarcimento?
E, tanto che ci siamo, è stata prevista anche una somma per pagare i progettisti del forno crematorio?
Sì, perché - sembra, pare, si dice - che sia stata annunciata la costruzione ma, certo per una “svista”, non sarebbero stati pagati i progettisti.
E anche loro, giustamente, rivendicano il dovuto.
Per ora, il magistrato ha detto “Paghi 33…”… per ora.
ADAMO