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Amarena e Mario.
Non so a voi, ma a me già il fatto di dare un nome “umano” ad un orso, mi sa di animalismo da salotto, di ambientalismo cittadino, di vezzo radical chic, modaiolo e trendy, perché oggi è “in” dichiararsi vegani, animalisti, cruelty free.

Volete mettere quanto è più chic ordinare, in pizzeria, una “base vegan, con tofu e alghe giapponesi” al posto di una “base margherita, con bufala, salsiccia e funghi”?

Ma sto divagando.

Torniamo ad Amarena e Mario.

Due orsi.
Abruzzesi, come noi.

E tutti e due al centro, in questo periodo, di un procedimento giudiziario.

Solo che di Amarena, sanno tutto tutti, mentre Mario forse non se lo ricorda nessuno.

Eppure, le storie si assomigliano.
Quella di Amarena, la conoscete.

Quella di Mario, ve la racconto.

Siamo nell’estate del 2017, c’era il terremoto in cronaca e a molti sarà sfuggita la storia di una famiglia di Villavallelonga che, una notte, ha sentito rumori in casa. 

Sulle prime, hanno pensato ad un ladro, così il capofamiglia ha preso coraggio, ha urlato qualcosa, poi è sceso in cucina e ha scoperto che il ladro era Mario, un grosso orso marsicano entrato dalla cantina, in cerca di cibo.
Terrorizzato, l’uomo è corso in camera dei figli, di 6 e 8 anni, e poi con la moglie è scappato da una finestra, mentre Mario distruggeva tutto: porte, finestre, mobili ed elettrodomestici, in cerca di qualcosa da mangiare.
Perché anche se lo chiamiamo come uno zio anziano, era un orso.

E seguiva il suo istinto.

Nei prossimi giorni, mentre in un Tribunale un perito balistico spiegherà l’orsicidio di Amarena, per capire da quale distanza sia partita la fucilata letale, in un altro Tribunale uno psicologo testimonierà sui danni psicologici che l’incursione di Mario può aver provocato nei due bambini.

Eppure, non ho letto di associazioni che si siano costituite parte civile contro il Parco, che già dal 2016 avrebbe dovuto monitorare il grosso orso con un radiocollare.
Né ho raccolto testimonianz di pubblica indignazione per il fatto che vivere in un’area protetta non possa, e non debba mai significare correre il rischio di ritrovarsi con un orso in cucina o un cervo in veranda.

Leggo solo la facile deplorazione di chi, seduto nel suo salotto milanese o romano, giudica senza sapere e senza capire il gesto di un uomo che si è ritrovato con un orso in giardino.

Non giustifico il gesto, ma non lo giudico.

Dirò di più: nella stessa situazione, con un un orso in casa, tra il fucile e la finestra, non credo che avrei scelto la fuga.
So che questo non mi rende politicamente corretto.
Ma non sopporto l'ipocrisia.
E l'indignazione pret a porter
E penso a quei due bambini di Villavalleleonga, per i quali l’orso non sarà mai più un simpatico animale peloso che somiglia a quelli dei cartoni animati.

Ma loro, nell’universo veg-chic, non fanno notizia

ADAMO