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RAIOLAMICHELEAdoro la tecnologia. Accorcia le distanze. Consente contemporaneità fisicamente impossibili. Puoi, magari, svegliarti a New York, fare colazione al 19esimo piano della 56esima strada e ascoltare in diretta Michele Rajola, che affida alla storia della nostra città una nuova perla di vivacità politica e culturale. Voi sapete quanto io ami ascoltare gli interventi consiliari di Rajola, perché credo siano la manifestazione plastica (nel senso di prestampatI e di nullo valore) della pochezza politica attuale. Il fatto è che, con il fare saccente, indisponente e antipatico, di chi crede di poter dire tutto senza mai aver dimostrato nulla, rallegra le mie giornate, perché mi offre la possibilità di ridere ascoltandolo e di poter poi vergare queste mie poche righe. 

A New York, sono le 7 del mattino, il cappuccino (vabbè …quasi) è caldo, i pancake appena fatti sono buonissimi col miele del Vermont, lo spettacolo della Grande Mela che si sveglia (anche se notoriamente non dorme mai) è straordinario, ma nulla vale più del sentire Rajola che, nel tentativo inutile di ergersi a censore della minoranza, declina per due volte il verbo “forgiare” in maniera disinvoltamente inappropriata. 

Tale è la voglia raiolesca di dare un senso alla sua presenza (frutto - lo ricordo - di una surroga), che continua a regalarci epifanie del nulla, nel disperato - e un po’ triste, in verità - tentativo di poter essere considerato politicamente credibile, senza intuire che ogni suo parlare in Consiglio vale quanto l’esibizione delle cheerleaders durante le partite di basket Usa. Cioè un attimo di intervallo, durante l’evento serio. Un consigliere “forgiato” perfettamente.

Da New York è tutto.

ADAMO