Se è vero che è un errore il non ricordare il passato, perché si è poi condannati a riviverlo, immaginate quanto più grade sia l’ errore dell’essere condannati a rivivere un passato che si ricorda benissimo.
Perché ieri, in realtà, nella sala del Consiglio Comunale di Teramo è successo proprio questo: ci siamo condannati a rivivere un passato, che ricordiamo benissimo.
Un passato scolpito nella convinta certezza di vivere in un micromondo confinato, nel quale la mancanza di spazio ci impone di distruggere e ricostruire, negandoci l’umana vocazione all’espansione.
Non siamo giocatori di Monopoly, non perseguiamo l’addizione, siamo eterni giocatori di dama: nel confinato e immutabile spazio di una tastiera, inseguiamo la sottrazione, fino all’illusoria vittoria della raggiunta solitudine.
Il 18 maggio del 1959, il Consiglio Comunale di Teramo, quasi all’unanimità, votò per distruggere e ricostruire il Teatro Comunale.
Ieri, il Consiglio Comunale di Teramo ha votato all’unanimità la scelta di distruggere e ricostruire l’ospedale a Villa Mosca.
Una scelta che stravolge e contraddice quella già adottata dalla Asl e dalla Regione, che invece volevano farlo a Piano d’Accio.
Una scelta figlia di una discussione interminabile, ma di fatto già decisa prima ancora del Consiglio, visto che tanto la Mggioranza, quanto la Minoranza, avevano già annunciato di volerlo a Villa Mosca, il nuovo ospedale.
Una scelta che non ha tenuto conto, affatto, dei pur chiarissimi avvertimenti dei vertici sanitari e politici della Regione, che sono così riassumibili:
Per rifare lo studio di fattibilità su Villa Mosca, ci vuole un motivo valido.
Per rifare lo studio di fattibilità su Villa Mosca, ci vogliono soldi.
Per rifare lo studio di fattibilità su Villa Mosca, ci vuole tempo.
Rischiamo di perdere i finanziamenti.
Eppure, è esattamente quello che il Comune ha chiesto ieri: dimentichiamoci il progetto di Piano d’Accio, che pure era figlio di una chiara indicazione comunale, e rifacciamo tutto da capo.
Insomma, “Tutto sbagliato, tutto da rifare” per dirla alla Bartali, o se preferite “Un grande futuro alle spalle”, tanto per citare un’altra autobiografia. E cito, perché voglio allinearmi al “colto” dibattito ascoltato ieri in Consiglio, dove all’ “uno, nessuno e centomila” evocato con appropriatezza da Antonetti, per disegnare le posizioni assunte sul tema dal sindaco, ha fatto eco un inappropriati “Così è se vi pare” evocato da Pilotti, con un riferimento che ci stava come il sushi nelle Virtù.
Si sa, l’avvocato piddino subisce le fascinazioni della platea e avverte la necessità - sbagliando - di lasciare traccia di sé nei verbali della seduta. Identico bisogno, purtroppo nutrito da BignaMichele Raiola, che ha sprecato cinque minuti della nostra già provatissima pazienza, per ripetere quello che Andrea Core aveva detto in 15 minuti. L’unico pregio del riassuntino scarno stile Bignami, offertoci appunto da BignaMichele, è stato quello di essere scritto, quindi con adeguata assegnazione delle forme verbali al loro destino grammaticale. La mimica del Nostro, nel tentativo di accalorarsi leggendo, peró, di fronte ad una platea ormai dimezzata dall’ora di pranzo e, soprattutto, del tutto disinteressata all’opinione raiolesca, era comunque totalmente inadeguata. Nonostante io mi stia sforzando, offrendo i miei consigli, BignaMichele non coglie il valore immenso del silenzio… ed esterna i suoi pensieri, generando un interesse pari al passaggio della pubblicità durante un film.
Giusto una citazione per il Sindaco, barcocchiato - carte alla mano - da Di Giosia e Marsilio, sbugiardato sulla scelta (lui voleva Piano d'Accio) e sul progetto di fattibilità (lo conosceva, eccome!) ha replicato solo alla fine, in assenza dei due, cercando di buttarla in corner con qualche arrampicata sugli specchi, non riuscita. La sua folgorazione villamoscovita casualmente pre-elettorale, si palesa sempre più per wielll che è: una giocata facile per lucrare consenso. Se vuole davvero sapere cosa ne pensano i teramani, organizzi un referendum sul nuovo ospedale.
Torniamo al dibattito: tutto più o meno era già scritto, o scontato, tranne le risposte del direttore generale della ASL, Di Giosia e del direttore della sanità regionale, D’Amario, che in più occasioni hanno letteralmente preso a schiaffi i consiglieri, esaltandone la loro dolorosa impreparazione.
Non ci si può presentare, ad un Consiglio straordinario, citando leggi inapplicabili, prassi inadattabili, procedure inesistenti o sollevando questioni già risolte.
Eppure, questo è successo: una grandissima parte degli interventi consiliari, ahinoi, ha evidenziato limiti di impostazione e di preparazione, finanche di comprensione in un paio di casi. D’Amario e Di Giosia hanno risposto con cortesia (quasi sempre, a tratti il Dg s’è un po’ - giustamente - alterato) disegnando un quadro chiaro del passato recente e del futuro possibile.
Che è il rischioso cantiere che, per sei anni, dovrebbe costruire il nuovo Mazzini sul vecchio Mazzini. Con quella che ne consegue in termini di camion, rumori, polveri, traffico, disagi e - aggiungo io - di rischio di disaffezione. Sei anni di ospedale cantierizzato, significano spingere i pazienti a cercare altrove. E se i pazienti mancano, i medici se ne vanno. Potremmo ritrovarci, dopo sei anni di calvario, con un ospedale nuovo e vuoto.
Continuo a pensare che “two is megl’ che uan” e che fare il nuovo ospedale a Piano d’Accio significherebbe avere due ospedali a Teramo, visto che al Mazzini resta tutto, tranne i ricoveri. Invece, corriamo il rischio di risvegliarci un giorno, in una città ulteriormente depredata.
E di essere condannati a rivivere il passato.
Anche perché nulla vieta alla Regione di scegliere di lasciarci il Mazzini e di fare il nuovo ospedale provinciale, perché di questo si parla, in un altro posto. Tipo Mosciano...
Ieri, il Consiglio Comunale di Teramo ha votato all’unanimità la scelta di distruggere e ricostruire l’ospedale a Villa Mosca.
Il 18 maggio del 1959, il Consiglio Comunale di Teramo, quasi all’unanimità, votò per distruggere e ricostruire il Teatro Comunale.
Da allora, non abbiamo più un teatro vero.
ADAMO