Ogni mattina, il Sole s’affaccia all'alba sull’orizzonte adriatico, tinge di porpora le onde delle acque che il Vate chiamo “amarissime”, sparge color di petali sulle sabbie e sulle colline e pennella di rosa la veste di roccia antica del Gran Sasso.
Ed è in quel momento che, in qualche angolo del Mondo, c’è un ambientalista che muore.
Assassinato dalla grezza cialtroneria di quella palla di fuoco, dalla volgare cafoneria di quella stella prepotente, dalla smodata arroganza di quello spacciatore di luce che, con maleducata invadenza, si permette di illuminare l’antica spalla del Gigante che dorme, senza chiedere l’autorizzazione al Parco Nazionale.
Senza presentare una valutazione di impatto ambientale.
Senza sottoporre agli organi competenti una Valutazione di Incidenza complessa.
Senza rispettare le norme che regolano i Siti di Interesse Comunitario (SIC), identificati dagli Stati Membri secondo quanto stabilito dalla Direttiva Habitat, successivamente designati come Zone Speciali di Conservazione (ZSC), e dalle Zone di Protezione Speciale (ZPS) istituite ai sensi della Direttiva 2009/147/CE.
Senza contattare la segreteria particolare del megadirettore ambientale galattico Duca Conte Maria Rita Vittorio Balabam.
Perché il Sole è fatto così: lui arriva e illumina.
Se ne frega dei caprioli e delle aquile, degli orsi e dei cervi, che potrebbero essere infastiditi da tutta quella luce.
Cerco di buttarla sul ridere, ma vi confesso che mi risulta davvero difficile trovare spunti di allegria, in una vicenda che è, al contrario, l’ennesimo coro funebre che intona un requiem per la nostra montagna.
La paradossale vicenda, che ha visto il Parco Nazionale del Gran Sasso, negare al Gal l’autorizzazione ad illuminare per due giorni e per poche ore, il Paretone con un fascio di luce rosa, così da permettere la realizzazione di un servizio fotografico per “lanciare” la tappa del Giro che arriverà ai Prati, a cento giorni dalla prima pedalata dell’edizione 2024, è la nuova, palese dimostrazione, di tutta l’afasia burocratica che, da anni (forse da sempre) rende impossibile il dialogo tra chi il Parco dovrebbe gestirlo e chi sconta la condanna di doverlo vivere.
Nato come grande occasione, di sviluppo, il Gransassolagapark è oggi una grande occasione sì, ma mancata, con le popolazioni che si ritrovano a patirne gli oneri senza godere degli onori, a subirne i vincoli senza lucrarne gli slanci.
Il solo fatto di dover discutere, oggi, della mancata autorizzazione concessa all’illuminazione in rosa del Paretone, in un territorio che sogna lo sviluppo e nel quale ai Prati chi volesse gestire un albergo dovrebbe fare i conti con le spaventose bollette Enel, perché lassù il metano non è mai arrivato, la dice lunga sul livello di percezione delle priorità.
Però, sto divagando, prima di esprimere giudizi, è buona regola raccontare i fatti.
E i fatti sono che il Parco ha negato l’autorizzazione, scrivendo il 19 gennaio al Comune di Isole che, di fatto, nella richiesta inviata dallo stesso Comune il giorno prima, mancavano una serie di dettagli.
Quali?
Eccoli: «…la data è imprecisata… l’illuminazione ipotizzata interviene per un'estensione imprecisata… si ipotizza l'utilizzo di macchinari e apparecchiature in alcun modo dettagliate… manca qualsivoglia indicazione di dettaglio circa i profili di inquinamento acustico, luminoso e di emissioni… non è fornita una valutazione dell'eventuale disturbo alla fauna… c’è un’enorme intensità dell'illuminazione (indicata soltanto nel minimo e non nel massimo ipotizzabile)…».
Stiamo parlando di un fascio di luce.
Quello che dovrebbe produrre “…inquinamento acustico, luminoso e di emissioni…” e arrecare “…disturbo alla fauna…” è un fascio di luce.
Solo un fascio di luce.
Come quello che, un anno fa, ha illuminato le Tre cime di Lavaredo, dove, evidentemente, non vivono caprioli, aquile, orsi e cervi e che, come è noto, sono turisticamente molto, ma molto, moltissimo meno attrattive del Gran Sasso.
Anzi: no, non come le Tre Cime, perché sulle Dolomiti s’accesero le potenti fotoelettriche dell’Enel, mentre sul Gran Sasso sarebbe salita una società specializzata, con fari particolari, individuata dal Gal dopo un certosnino lavoro di ricerca .
Così come, nella lettera del Comune inviata al Parco, quella piena dei dettagli “mancanti”, era chiaramente indicato:
«…l’illuminazione verrà effettuata mediante tecnologia xenon, si specifica che è l'unica al mondo ad avere la temperatura. Il colore e lo spettro luminoso del sole, però la luce del sole in pieno giorno, alla latitudine del centro Italia, è di lux 12.000, mentre la luce rosa con cui si intende illuminare il Paretone del Gran Sasso è di lux 3,6…».
Ha ragione il Parco… mancano i dettagli.
E ne mancano tanti, visto che il Comune aggiunge: «…si conferma anche l’irrilevanza degli effetti sonorl, considerato che il sito di proiezione della luce è affiancato all'uscita della galleria dell'autostrada A24, i cul effetti sonori sono nettamente superiori a quelli del macchinari usati per l’illuminazione…».
Sottolineo questo passaggio: il proiettore sarebbe stato sistemato vicino all’uscita del Traforo… cioè di un buco enorme fatto dentro la montagna, vicino ad un paese, Casale San Nicola, violentato dall’autostrada e devastato per sempre dai piloni dei viadotti.
Ma il problema, è un fascio di luce rosa.
E sulla data imprecisata? E’ vero, il Comune è stato molto impreciso: «… l’evento, chiaramente condizionato dagli eventi atmosferici, se possibile al massimo si svolgerà per due giorni e per un massimo di 40 ore. Gli adempimenti burocratici riducono le giornate possibili a quelle del 22, 23,24 gennaio…».
Che vergognosa mancanza di dettagli, vero?
E non voglio tediarvi con i dettagli sulle "incidenze significative" che dovrebbero motivare un "no" del Parco, e che è difficile, anzi: per me impossibile trovare in quel fascio di luce.
Che non si accenderà mai.
Perché il Parco ha detto no.
E ha fatto bene.
Ha fatto bene il Parco a negare l’autorizzazione.
Ha fatto bene a vietarci quella passerella mondiale, quel lancio turistico amplificato dalla maggiorata visibilità offerta dal Giro d’Italia, quella ribalta internazionale.
Ha fatto bene a spegnere la luce, che avrebbe potuto illuminare una montagna che vive nelle tenebre perenni di una politica che si nutre di parole e progetti, mentre gli alberghi chiudono e le cabinovie dondolano vuote.
Ha fatto bene ad offrire al grossolano dibattito del volgo ambientalista oltranzista, l’ennesima occasione di vomitare tonnellate di banalità verdaiole, rivendicando il diritto al sonno del camoscio e al riposo delle aquile… con gli stessi accenti variopinti e bislacchi di quelli che invocavano la condanna a morte per l’uomo che uccise un orso, entrato nel suo giardino.
Ha fatto bene a non accendere quel faro, perché non è il rosa nelle sue infinite sfumature il colore che ci si addice, ma il nero cupo delle listature a lutto.
E il giallo, impenetrabile, delle facce di bronzo.
Quelle che non riconoscono le emozioni.
Quelle che applicano le regole senza interpretarle.
Quelle che impongono la legge senza condividerla.
Quelle che recintano il Parco di divieti e non di occasioni.
Quelle che non avvertono il calore del sole… che, purtroppo per loro, ma per fortuna per noi, s’è alzato anche stamattina
.
ADAMO