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Schermata_2024-03-03_alle_23.17.02.pngLeggo.

E tremo.

Anzi: leggo e m’incazzo.

Perché non posso, non voglio e non devo accettare che, nella mia regione e nella città che più di ogni altra seppe dedicarsi al culto dell’arte, possano soffiare i venti rigidi dell’oscurantismo modaiolo, del medioevo in diretta social, della mortificante dittatura del politically correct.
Della ricerca facile di una visibilità di riflesso, tanto inutile quanto paracula. 

Non l’accetto.

Non voglio, non posso e non devo accettare la sola idea che, davvero, qualcuno abbia proposto una petizione contro la laurea honoris causa a Jan Fabre, l’artista belga del quale l’Accademia delle Belle Arti dell’Aquila ospiterà una serie di eventi di altissimo interesse e valore artistico, sublimati dalla consegna, appunto, di una laurea honoris causa.

Una laurea che, secondo i petenti, «…è assolutamente inaccettabile…» perché - reggetevi forte - «… è ben noto che a settembre 2022, Jan Fabre è stato condannato a 18 mesi di reclusione per sei capi di imputazione, tra cui violenza, bullismo, molestie sessuali sul lavoro e aggressione sessuale, in seguito a 20 denunce presentate da sue/suoi ex collaboratrici/tori…».

Anatema!

Anatema!

Si convochi all’istante il Tribunale della Santa Inquisizione e subito, senza neanche un processo sommario (non serve, basta la petizione) si dia alle fiamme il direttore dell’Accademia e tutti quelli che, con lui, hanno condiviso la scellerata idea di conferire una laurea honoris causa ad un artista considerato tra i più interessanti del panorama mondiale.

Uno che, tanto per fare qualche esempio, ha esposto in personali al Louvre e all’Ermitage, che vanta opere permanenti al Museo “de la chasse et de la nature” di Parigi, alla Chiesa napoletana del Pio monte della Misericordia, nella Cattedrale belga di Anversa e nel Palazzo reale di Bruxelles.
Mi chiedo perché sua maestà Filippo, non abbia fatto scollare quel milione e mezzo di veri carapaci di scarabei verdi, che Fabre ha incollato (uno a uno) sul soffitto della Sala degli specchi, nell’opera intitolata “Paradiso di delizia”.

E mi stupisce che il Museo d’arte contemporanea di kanazawa, in Giappone, non abbia abbattuto la statua (splendida) dell’”Uomo che misura le nuvole”, che impreziosisce il tetto stesso del museo.

E come si permette il Treviso art district, di ospitare fino al 27 marzo 50 sculture e disegni in corallo rosso di Fabre, intrisi del suo stesso sangue (come il cuore in testata)?

Per non parlare del Maxxi che, a Roma, ospiterà il 12 marzo la proiezione di un documentario Sky, proprio dedicato a Jan Fabre.

Anatema anche sul Maxxi e su Sky. 

Ma davvero, c’è bisogno di sprecare tempo ed energie per spiegare, ancora una volta, quale sia il valore eterno dell’arte?

Ma davvero, nel 24esimo anno del Terzo Millennio, c’è chi pretende di ricondurre la creazione artistica nelle categorie della normalità.

L’arte è tale se disintegra, riscrive, violenta, ripensa, distrugge, rifonda, annulla e sublima la normalità, ma senza mai esserne dominata.

Non si giudica un artista con i metri degli umani.

Una cosa è l’artista, una cosa è l’uomo.

L’artista si giudica in un museo, l’uomo in un tribunale.

Confoderne i ruoli significa scardinarne il senso stesso del loro esistere.

Significa inquinare le fonti stesse della nostra libertà di poter essere altro da noi, artisti appunto.

L’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, assolvendo al ruolo eterno che la storia le affida, premia l’artista Jan Fabre, lo laurea, con il coraggio di chi sa intuire quanto artistico sia, nel più libero senso del termine, il fare creativo di chi, come Fabre, sa consegnarsi a quella stirpe nobilissima dei “maledetti” che seppero trovare nella provocazione il seme della creazione.

La petizione medievale, che altri affidano - ovviamente - al fiero pasto dei social, trasuda di quella aspirazione interessata e un po’ pelosa, che spinge gli “esclusi” dal lampo di magnesio del flash di un evento come questo, a cercarne spunti di distruzione.

E lo fanno, ovviamente, giocando la carta facile della banalizzazione del fatto: «In Italia, invece, la cultura patriarcale imperante sia nel mondo dell’arte che nell’università permette che Fabre continui a essere invitato non solo a presentare il proprio lavoro, ma a parlare pubblicamente in contesti accademici: nel mese di ottobre 2023, fu invitato a tenere una lezione pubblica all’Università di Bari e la sua presenza è stata contestata a gran voce dai centri antiviolenza pugliesi, perché è inaccettabile che a un abusatore venga concesso un palcoscenico e ancora più grave che gli venga offerta la possibilità di parlare con studentesse e studenti, offrendo un messaggio chiaro di impunità rispetto a chi perpetra violenza sulle donne».

Anatema anche sull’Università di Bari.!
Sconcerta però che, nello scontato argomentare dei promotori della petizione, sfugga loro un dettaglio appena appena rilevante: «… la sentenza è stata espressa come sospensione condizionale, ovvero il tribunale ha stabilito che non vi è necessità di scontare alcuna punizione effettiva».

Proviamo a rileggerlo: «… la sentenza è stata espressa come sospensione condizionale, ovvero il tribunale ha stabilito che non vi è necessità di scontare alcuna punizione effettiva».

Dunque, l’”abusatore” Jan Fabre è così pericoloso… da essere libero.

E’ persona talmente spregevole, da meritare il diritto di poter girare il Mondo con la sua arte.

Eppure, per i petenti aquilani: « Secondo quanto è emerso dall’ampio dibattito scaturito in seguito a una lettera pubblica sottoscritta da otto persone della Compagnia Troubleyn (rilanciato in Italia specialmente dal collettivo di artist* e lavorator* dello spettacolo Il Campo Innocente), nel corso della sua carriera Fabre ha utilizzato in molteplici occasioni un comportamento ricattatorio e violento, mettendo in atto meccanismi sessisti e forme di umiliazione, sempre rivolti verso donne».

Personalmente, già solo il fatto di leggere nella petizione “…artist* e lavorator*…” mi scatena il desiderio di proporre una contropetizione contro chi fa nelle petizioni un uso “no gender” della lingua patria, ma ancor di più mi motiva alla reazione il fatto che i petenti citino - da provati giuristi - le otto firme della lettera “negativa” e non le 169 testimonianze “positive” depositate in tribunale.

I medievali inquisitori della Santa Petizione, chiedono “l’evento sia sospeso e che il conferimento della Laurea Honoris Causa sia annullato”.

A questa inaccettabile richiesta oscurantista, l’Accademia opponga l’arte del coraggio e laurei il coraggio dell’arte.

E poi… quanto sarà meravigliosamente unico, irripetibile, storico e straordinario… e quindi artistico, l’attimo nel quale Jan Fabre ritirerà la sua pergamena?

Jemo ‘nnanzi, il Medioevo è finito.

Benvenuto a L’Aquila dottor Fabre…

ADAMO

PS. LEGGI QUI I DETTAGLI DELLA SENTENZA