Cominciamo dall’inizio, cioè dalla foto che apre questo articolo: quel palazzo colorato, è il Comune di Tokyo. O meglio: il palazzo del Governo metropolitano.
PPer ora, godetevi la foto, poi ne parliamo alla fine.
Il mio secondo giorno “tokyese” è stato un giorno minimalista. No, non nel senso del minimalismo modaiolo e un po’ castrante, che sembra tanto piacere agli architetti nostrani.
E neanche nel senso del “less is more”, che fa tanto chic nelle chiacchiere medio - altoborghesi, magari fatte sul divano ultimo grido, davanti ad un ottanta pollici, in attesa che il bimby finisca di impastare la pasta all’uovo, per una cenetta tra amici bagnata dai vini della Napa Valley, perché dice che “non puoi non provarli”.
No, il minimalismo giapponese è altro.
Totalmente altro.
Culturalmente altro.
Filosoficamente altro.
È “ukiyo”, che a volerlo tradurre significherebbe qualcosa come “Mondo”, ma essendo una parola di fatto intraducibile, non renderebbe. Forse si avvicina già un po’ di più: “il mondo galleggiante“, ma in realtà significa vivere il momento presente, distaccati dai problemi della vita.
Tutti i problemi.
Sì, lo so che adesso starete pensando: e che novità è? I romani hanno sfoderato un “carpe diem” già duemila anni fa… ma avete sbagliato.
Perché quello di Orazio era un richiamo alla vita, quello giapponese è alla morte. Ai cittadini della Roma dei Cesari, si chiedeva di vivere il presente nell’incertezza del futuro, al popolo dell’Imperatore Sovrano Celeste si chiede di vivere il presente, nella certezza della morte.
Del resto, come potevano coincidere i pensieri del popolo che affidava il segno del potere ad un’aquila, con quelli del popolo che li affida al regno del crisantemo?
La morte è il fondamento primo del minimalismo giapponese, è l’asse del mondo galleggiante, ma è una morte percepita senza l’angoscia lugubre del lutto, al contrario: è senso della vita.
È “dashari”.
E la traduzione, è già un manifesto filosofico: "dan" significa rifiutare le cose inutili, "sha" significa liberarsi delle cose inutili che si hanno, e "ri" significa rilevare il desiderio di cose inutili.
È essenza, non rinuncia.
È sostanza, non forma… delle cose.
Arricchimento, non privazione.
È un’addizione che riesce solo sottraendo.
Senza rinunce.
Fateci caso, nel “dashari” che costruisce l’”ukiyo”, non c’è rinuncia, ma rifiuto e liberazione.
Non è un percorso di sofferenza, ma la conquista di un benessere profondissimo.
Quindi, della felicità.
Perché più gli oggetti ci crescono intorno, più il volume della nostra vita si restringe.
Non è less is more, non è avere di più con meno.
È avere tutto... il necessario.
Solo il necessario.
E con il piacere di assorbirne il valore.
“Rinunciamo all’inutile, per consentire alle cose che cii piacciono davvero di emergere fino alla superficie della nostra vita” scrive lo scrittore Katsuya Toyoda, nel suo appartamento di 22 metri quadrati.
“In Occidente completare uno spazio significa metterci qualcosa dentro”, aggiunge Naoki Numahata, “noi lo lasciamo incompleto di proposito, così sarà l’immaginazione a rendere quello spazio completo”.
E non è immaginazione delle cose, né desiderio.
È percezione del Mondo galleggiante.
E adesso, torniamo alla foto di quel palazzo colorato, che è il Comune di Tokyo. O meglio: il palazzo del Governo metropolitano.
L’ha disegnato Kenzo Tange, è un complesso di tre edifici, con un’altezza massina di 242 metri, una superficie di duecentomila metri quadrati e terrazze panoramiche (gratuite), per guardare dall’alto l’immensa capitale del Giappone.
È stato costruito in tre anni, tra il 1988 e il 1991.
Tre anni.
Il Comune di Teramo è chiuso da sette.
Sette anni.
Chiuso, nonostante gli infiniti annunci della gianguideria regnante, con tanto di caschetto da cantiere.
Del resto, è fin troppo intuibile quanto sia più impegnativo amministrare una città come l’infinita metropoli Teramo, rispetto ad un paesino come Tokyo, che ha un bilancio comunale pari a quello della Svezia
Eppure, cercando sui social, non sono riuscito a trovare neanche un selfie della governatrice Yuriko Koike, e neanche un “buongiorno Tokyo” né una “buonanotte Tokyo”
Neanche un cuoricino bianco e un cuoricino rosso.
Niente.
Credo, addirittura, che a differenza di sua Gianguidità, la governatrice di Tokyo non abbia mai assunto un ragazzo, che ai cittadini costa quasi tremila euro al mese lordi, che lo segue solo per postare continuamente sui social le immagini del Sindaco.
Sul Mondo galleggiante, non c’è posto per i selfie.
Non è dashari.
Su una cosa, però, Tokyo è Teramo si assomigliano: sul palazzo del governo, se ne vedono di tutti i colori.
Anche a Teramo
E senza luci
ADAMO SAN