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TeraaIl tedescone attraversa il piazzale del tempio a passi svelti, come quando cerca un bagno all’Oktoberfest. Lo capisco subito dalla faccia, che per lui il trovarsi a Tokyo, davanti al più antico tempio della città, o in un Bierzelt di Monaco, in fondo non fa molta differenza… e poi anche qui incontra tante ragazze vestite secondo tradizione, ma che a Tokyo siano kimoni splendidi e a Monaco i classici dirndl bavaresi, alla fine non conta.
Perché lui, il tedescone,
ha un solo scopo: raggiungere la porta del tempio e farsi una foto davanti ad uno di quegli enormi vasi,  che stanno ai piedi della scala.

Vuole proprio “quel” vaso. 

Perché a lui, di trovarsi a poggiare le sue Nike da boomer sullla terra sacra alla dea della misericordia, non frega davvero un beneamato.

Lui vuole quella foto.

Solo quella.

Vicino alla svastica.

Il tedescone con lo svasticone.

Compiaciuto della sua crassa ignoranza, si fa fotografare con la mano appoggiata su quel simbolo, al quale la sua - adesso manifesta - stupidità assegna una sorta di potenza positiva.

Se non fossi presente, se avessi visto solo la foto, chissà magari avrei pensato che avesse davvero memoria del valore di quel simbolo sanscrito, che i giapponesi chiamano ‘manji’, e che viene usato come indicazione degli edifici religiosi da migliaia di anni. 

Molto prima che qualcuno lo considerasse “ariano”.

Qui lo sanno tutti.

I buddisti lo sanno.

Il tedescone no, tanto che davanti all’iPhone della moglie, altrettanto tedescona, accenna ad un timido saluto a braccio teso, poi si accorge del mio sguardo, sorride imbarazzato, io non sorrido.

La stupidità volontaria, la coglioneria ricercata… non merita sorrisi.

Se sei un tedescone che, davanti ad un tempio costruito nel 645, non 1645 …proprio 645 prima del Mille, l’unica cosa che riesci a cogliere è un segno che, oltretutto, gira anche al contrario di quello che la tua gente un tempo impose al Mondo, non meriti compassione.

Non la mia.

Mentre mi faccio tutto il mio pistolotto, autocompiacendomi del mio slancio di serietà, un anziano signore in kimono si avvicina al tedescone, dai gesti intuisco che gli sta spiegando la differenza tra le due svastiche poi, davanti al suo silenzioso imbarazzo, fa un inchino di saluto e se ne va.

La faccia del tedescone meriterebbe una foto, ma non ho avuto la prontezza di farla.

Ho fatto quella del ‘manji’, e la pubblico qui e non in testata, perché l'algoritmo di Zuckenberg, che è più stupido del tedescone, mi bannerebbe per mesi. 

SvastikSi sa, gli algoritmi sono fatti così: non ragionano, eseguono.
Non riflettono, agiscono.
Non valutano, condannano. 
E lo fanno anche retroattivamente, tanto che dalle strade di Tokyo, da qualche anno, stanno scomparendo i cartelli che indicano la direzione dei templi buddisti, che erano proprio cartelli con svastiche e frecce, perché le foto dei turisti venivano bannate dai social, scatenando reazioni e proteste. 
Chissà che ne penserebbe Siddhartha Gautama, lui che ha lasciato infinite perle di saggezza, oggi divenute virali proprio su quei social che bannano il suo ‘manji’.

“Non credete minimamente a ciò che dico. Non prendete nessun dogma o libro come infallibile”.

Tranne Instagram, ovviamente.

ADAMO SAN