Lasciata Tokyo, il Giappone cambia.
Radicalmente.
Lo Shinkansen, il mitizzato treno proiettile, vola sui binari e ingoia la pianura
Per dirla col Maestrone:
"…. Sembrava un giovane puledro
che appena liberato il freno
Mordesse la rotaia con muscoli d'acciaio
Con forza cieca di baleno…",
Anche io, come nel racconto cantato gucciniano,
“Non so che viso avesse, neppure come si chiamava
con che voce parlasse, con quale voce poi cantava
quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli…”
….ma una cosa la so: sta parlando da solo.
E so anche che, nell’ipertecnologica cabina di guida del suo supertreno, oltre a parlare… indica, gesticola e grida.
L’abbiamo visto fare al macchinista della metro che ci ha portati qui (quello in QUESTO VIDEO è lui) e la cosa ci è sembrata inquietante, evocando immediatamente scenari gucciniani, con l’inevitabile corollario di commenti sull’alienazione opprimente, in un Paese che costruisce tutto il suo essere sull’esasperazione del controllo, sulla ricerca dell’eccellenzae sulla perenne pretesa di perfezione.
Del resto, il Giappone è da sempre tra i primi dieci Paesi al mondo col maggior numero di suicidi, tanto da farci immaginare che proprio questa, quella cioè di spegnere i focolai di alienazione, fosse la molla che avesse spinto il Giappone ad inventare lo yurikamome, il treno senza guida che abbiamo preso ieri (QUESTO È IL VIDEO).
E invece, no.
Non è alienazione, è regola.
Anzi, quella gestualità esagerata, quel parlare da solo, tutto quello strano agire, è esattamente la contromisura al rischio alienazione.
E lo fanno tutti.
Lo devono fare tutti.
Tutti i macchinisti giapponesi.
Si chiama “shisa kanko” ed è una misura di sicurezza introdotta, addirittura, nel periodo del “regno illuminato” dell’imperatore Mutsuhito, tra il 1968 e il 1912, quando un macchinista di Kobe, accortosi di quanto la sua vista stesse peggiorando, iniziò a chiamare i segnali di linea facendoseli confermare dall'assistente istruttore al suo fianco.
Dal 1913, è un obbligo per tutti i dipendenti delle ferrovie giapponesi.
Prima di scoprire tutto questo, però, quel macchinista che gesticolava e parlava da solo, alla guida della metro, era risultato vagamente inquietante.
Torniamo sullo Shinkansen, un aereo sulle rotaie, che vola verso le Alpi giapponesi, incontrando decine di paesi tutti uguali: case basse, con un pretesa di cielo mai superiore al terzo piano, non certo sfarzose, ma incastrate in un tessuto urbano studiato, progettato, realizzato con la rigida geometria di un Paese che antepone l’efficienza alla bellezza, la praticità all’estetica. L’utile all’ inutile.
Come nel caso degli incredibili pali della luce, che sono anche pali del telefono, ma anche pali della fibra… insomma di ogni cavo possibile e immaginabile.
Questa l’ho scattata a Tokyo, in centro, vicino al ristorante Gonpachi Nishiazabu, quello della scena della “battaglia” di Kill Bill, e non è certo il peggiore tra i grovigli di cavi. Narrazione ufficiale, vuole che queste matasse assurde, siano solo frutto dell ricostruzione post bellica e del passare degli anni, senza aver avviato piani di interramento dei cavi, visto anche che nei terremoti e nei tifosi, quei pali sono i primi a cadere e ad ostacolare soccorsi o fughe.
La verità, invece, è che mancano i soldi da destinare ad un intervento come questo: il Giappone è uno dei Paesi più indebitati al Mondo, con un debito pubblico pari al 250% del Pil (l’Italia èal 132%).
E poi, quanto è più semplice aggiungere cavi volanti, invece che scavare… ?
Sono arrivato a Kanazawa.
Ci sentiamo domani.
ADAMO SAN