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KennedyHo saltato la fila, al cimitero di Arlington, che è uno dei luoghi “sacri” di Washington, anche se non sta a Washington e neanche nel Columbia District, cioè il non - Stato patrimonio di tutti gli  Stati Uniti. 

Ho saltato la fila, nel senso che me ne sono andato “controsenso”, ignorando il tour, perché volevo vedere solo questa: la tomba di JFK. Pioveva lento e, quando sono arrivato, non c’era nessuno. Poi, un po’ alla volta, è arrivata gente. Turisti, certo, ma sono arrivati soprattutto loro: gli americani. 

E sono come te li aspetti.

Quattro rotariani del Maine, con le mogli cotonate e le maglie gialle fosforescenti, una decina di ragazzi in tuta nera, sulle giacche lo stemma di un college del Maryland, qualche coppia di anziani, due ragazzi appena sposati, una signora tatuata in bermuda e infradito che spingeva una donna sulla sedia a rotelle e, da ultimo, un omone con la barba, lo stivale ricamato, l’immancabile pantalone al ginocchio e il gilet della Harley portato a pelle. Non ho avuto tempo, col retaggio della mia formazione impregnata del senso cattolico della morte, e del rispetto che si deve ai cimiteri, di fermarmi a riflettere sull’improbabile atteggiamento che tutti sembravano avere. 

Strideva, col silenzio e la cura incredibile di quelle colline piene di lapidi, quel loro vestirsi come per una gita a Disneyland. 

Non ne ho avuto tempo, perché è successo quello che mai mi sarei aspettato.

Piangevano.

Quasi tutti.

E chi non piangeva, pregava.

Piangevano tutti i rotariani, molti dei ragazzi del college, tutti gli anziani e i novelli sposi. Pregava la signora in infradito, amplificando la sommessa preghiera della signora sulla sedia a rotelle.  

Piangeva anche l’omone a petto nudo e gilet Harley.

Arrivati in questo angolo di cimitero, davanti a questa fiamma, in questa tomba che è monumentale pur non avendo neanche un monumento, o una foto… gli americani sembrano confrontarsi con un dolore ancora vivissimo. Sì, lo so che c’è anche la suggestione mitofaga del luogo, e il sentire comune di popolo particolarmente vocato nella creazione degli eroi, ma queste sono lacrime vere.

Di gente che è venuta a confrontarsi anche col  passato  - pieno di ombre - di questo Paese. Qualcuno scrisse che a Dallas, quel giorno, un colpo di fucile uccise il Presidente e la verginità  illusoria del Paese delle infinite possibilità.

E no, non è come sostiene il replicante nel suo ultimo attimo di vita sintetica: non è vero che lacrime e pioggia si confondono fino a sparire.

Adesso piove un po’ più forte, ma le lacrime sono tutte ancora qui.