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Nonostante la rinnovata assenza del Comune di Teramo, o forse proprio grazie all’assenza del Comune di Teramo, quella che si è appena chiusa a Parma è stata la più riuscita edizione del “CIBUS” di tutta la storia della manifestazione. 
Un’edizione da record: oltre 3.000 brand presenti, e più di mille buyer della grande distribuzioneitaliana e internazionale registrati, provenienti da mercati come Stati Uniti, Germania, Spagna, Francia, Regno Unito e Medio Oriente. 
Numeri che, a distanza di due anni, amplificano ancora di più l’assoluta inutilità di quella trasferta teramana, che nel 2022 vide il Comune - per iniziativa dell’assessore Filipponi, partecipare ad un evento al quale mai nessun Comune aveva partecipato in 20 anni. E mai nessuno parteciperà più, probabilmente. 
E quei quindicimila euro spesi per la trasferta parmense, restano a mio avviso tra i peggio spesi dalla gianguideria. 
A meno che, ovviamente, non mi si dimostri che quella presenza al CIBUS ha favorito, nei due anni successivi, un ritorno turistico per la nostra città.
Ma nessuno me lo dimostrerà, perché il CIBUS non è una vetrina turistica, non è una Bit magnereccia, non è una Fiera dedicata ai tour operator, ma è tutta un’altra cosa: è un Salone riservato agli addetti ai lavori, cioè alle aziende che producono e a quelle che comprano. E che sia una manifestazione di settore, lo dimostrano sia  il fatto che non è aperto al pubblico, sia il costo del biglietto per gli addetti ai lavori, che è 80 euro. 
Non esattamente popolare, come costo.
Per questo, tranne Teramo, mai un altro Comune aveva chiesto uno stand.
Quindicimila euro, per consentire all’assessore Filipponi di annunciare che si andava a Parma per “continuare il percorso di promozione territoriale che la città attende da anni con la Denominazione Comunale di Origine “a Teramo”.
Già, il marchio della De.Co teramana, quello annunciato con la tradizionale enfasi - sempre da Filipponi - per “…attestare  l'origine dei prodotti ed il loro legame storico culturale con il territorio  comunale, e costituire un efficace strumento di promozione della Città di Teramo”.
Era l’11 marzo del 2021… sono passati tre anni e due mesi… dite la verità: qualcuno di voi ha mai visto questo “marchio” su qualche prodotto?
Decomark
Io, no. E pensare che c’eravamo anche andati al CIBUS, spendendo 15mila euro.
Molto meglio hanno fatto la Camera di Commercio del Gran Sasso d’Italia, la Camera di Commercio Chieti-Pescara e la Regione Abruzzo, che hanno giustamente partecipato al CIBUS, per promuovere la nascita di rapporti commerciali tra le aziende abruzzesi, e in particolare di quelle legate alla filiera agroalimentare, e i colossi della grande distribuzione.
Basti pensare che al CIBUS erano accreditati gruppi come: Loblow e Metro Canada, Albertsons, Central Market, H-E-B, Hy-Vee, Walmart, Whole Foods Market USA (dal Nord America); Grupo Pao de Açucar, Alkosto, Tottus e Cencosud (dal Sud America); Billa, Rewe, Spar, Colruyt, Metro, Iki, Maxima, Hanos, Jumbo Supermarkten, Auchan Retail, Sonae, Eroski, Manor, Migros, Marks & Spencer, Ocado, Waitrose (dall’Europa); Aeon, Itochu, Kato Sangyo, Ok Corporation, City Super Shanghai, Hyundai Green Food, Lotte Mart, Nongshim (dall’Asia); Lulu Group, Shufersal (dal Medio Oriente), Pick n Pay, Woolworths, Coles da Sud Africa e Australia.
Per non parlare, poi, del settore HoReCa, ovvero “Hotellerie-Restaurant-Café", anche quello presente in massa.
Se ti chiami Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, ad un Salone che nasce per creare rapporti commerciali tra le industrie e gli artigiani dell’agroalimentare con i grandi gruppi nazionali e internazionali, ci DEVI andare.
Se sei il Comune di Teramo, invece no.
E quanto fosse utile quella “grande idea”, lo dimostra il fatto che il Comune di Teramo non c’è più tornato. 
Ma, in fondo, perché tornarci?
Tanto i selfie li hanno già  fatti, le elezioni le hanno rivinte, l’annuncione del CIBUS non serve più. 


ADAMO