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IMG_1581.jpg Tutto comincia con il messaggio di un lettore: «Buongiorno, volevo segnalarvi che il Calippo tour è arrivato a Martinsicuro, perché non ci fate un articolo?».

E c’era anche un video, questo:
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confesso che la mia prima reazione, è stata il fastidio. Perché mai dovremmo dedicare un articolo al tour promozionale di un gelato, peraltro datatissimo visto che è nato negli ‘Anni 80? 

Sono ingenuo, lo so.

Talmente ingenuo, che quando la signorina che promuove il “Calippo tour” spiega che sta girando l’Italia, mangiandone ovunque, mi sono anche chiesto che senso avesse la cosa, visto che si tratta di un gelato industriale, quindi il sapore quello è, a Trento come a Palermo, a Bari come a Martinsicuro.

La notizia, a quel punto, mi interessava ancora meno.

Anche perché, essendo un boomer, appartengo alla generazione di quelli che guardavano al Calippo come un gelato di scorta.
Lo compravi se era finito il Cornetto e tutti gli altri ghiaccioli, perché era poco in quantità, fastidioso da mangiare con quel tubetto da spremere, e appicicoso.
Era come la Fanta alle feste, che te la bevevi solo quando finiva la Coca Coia.

Poi, però, come accade sempre nella vita di un boomer, arriva un nativo digitale e ti spiega che il Calippotour sta al Calippo gelato quanto le transenne del Comune di Teramo stanno alla Torre Eiffel.

E m’ha fatto vedere un altro video, questo…



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All’improvviso, tutto era più chiaro: la “delicata” metafora che definisce il Calippo nel Terzo Millennio, il senso del tour, gli “assaggi” della giovane e l’impegno che, immagino, le richieda questo girovagare per l’Italia.

Che l’ha portata a Martinsicuro, all’evidente ricerca di calippi truentini.

A questo punto, però, devo fare una precisazione, perché non ho alcuna intenzione di scivolare nell’ipocrisia di un perbenismo facile, di un moralismo acchiappalike, né cedere spazio alla sessuofobia di matrice cattolica, e darvi l’idea di voler condannare la passione della ragazza per il “calippo”.

Ci mancherebbe: il pompino è patrimonio dell’umanità.

Sì, il pompino, di quello parliamo, e così lo chiama la Treccani, nella sezione dedicata alla lingua italiana (non fate battute).

E da Clinton in poi, dopo quello che accade alla Casa Bianca, nei pressi della stanza orale, pardon: ovale, ormai il pompino è universalmente sdoganato.

E lo stesso vale per l’omologa pratica al femminile, sulla quale persiste ancora qualche incertezza lessicale, ma prima o poi la risolveremo.

Ricapitolando: il sesso orale, tutto, è patrimonio dell’umanità.

Il calippo, no.

Perché il calippo del calippotour, non ha nulla a che vedere con il sesso orale… e neanche con il sesso.

Non è sesso.

E’ la disperata ricerca di visibilità di una ragazza che, con la convinta certezza di aver trovato una sua chiave di accesso alla popolarità, si offre alla sterminata platea dei social, in quella che probabilmente immagina essere una dimensione di sensualità e diventa, invece, solo testimonianza di un affanno del vivere, di una rincorsa all’esistere virtuale, di una in fondo tristissima costruzione sul nulla. 

Redditizia, certo, visto che racconta di riuscire a guadagnare molto su Onlyfans, ritagliandosi una sua discreta visibilità nel mondo delle sex worker.
Ma è porné, non eros.
Il sesso, in quanto sublimazione del piacere, attiene al divino.
Calippare per soldi, è altro.
Appartengo alla generazione di quelli che il sesso, nel senso dell'emozione vera del piacere, l'hanno scoperta sulle pagine della biancheria intima di PostalMarket.

Non so quanto l’essere arrivata, oggi, a 18.721 follower, lucrando 115.181 like sul suo profilo TikTok sia, nella sua valutazione, un traguardo o, magari, solo un inizio.

Non so quale sia il suo “target”….

Ma so che questo non è sesso.

E’ altro. 

E non mi piace.

Il calippo, per me, resta solo un cattivo gelato.

Solo quello.


ADAMO