Chi è che non digerisce il biodigestore?
Me lo sono chiesto ieri, sotto l’ombrellone, dopo aver letto l’apertura della prima pagina teramana de Il Messaggero, giornale al quale resto affezionato, avendogli dedicato i primi nove anni della mia vita giornalistica.
Era un articolo sul biodigestore, l’impianto da 30milioni di euro che dovrà nascere a Teramo al posto del vecchio inceneritore.
Lo dico subito: mi piace.
Mi piace, perché “ingoierà” rifiuti, li “digerirà” e produrrà biogas.
Mi piace, perché consentirà di sostituire il gas naturale (non rinnovabile) con il bio-metano, il cosiddetto 'Green gas', ed utilizzarlo come combustibile.
Mi piace perché ci consentirà di non portare più i nostri rifiuti chissà dove, pagando sia in euro lo smaltimento, sia in inquinamento il trasporto. Si calcola la “digestione” di 34.000-40.000 tonnellate di rifiuti organici, elimini l'equivalente di 170mila chilometri all'anno percorsi da un Tir con capacità di carico pari a 30 tonnellate: il risparmio in termini di CO2 è pari a 120.000 kg all’anno.
Mi piace, soprattutto, perché ci consentirà di abbattere quell’indegno monumento all’inquinamento, che è il vecchio inceneritore di Teramo, un eco-mostro abbandonato da quasi quarant’anni.
Insomma, mi piace.
Però, c’è a chi non piace.
Ci sta.
E’ giusto.
Non possiamo avere tutti le stesse opinioni.
Anzi: il contraddittorio serve.
E a qualcuno, quell’impianto non piace.
Ma proprio per niente.
Tanto da andare oltre il contraddittorio, arrivando addirittura a presentare 16 pagine di “osservazioni” al Servizio Valutazioni Ambientali della Regione Abruzzo, quello che dovrà rilasciare un’autorizzazione necessaria alla realizzazione dell’impianto.
Sono "due cittadini residenti nel Comune di Teramo", così scrivono, e così si presentano: «Avv. Antonella D’Angelo Gallo, componente Comitato coordinamento dei residenti del centro storico di Teramo, area “extra muros”, e il dott. ing Mauro Scacchia, esperto in tematiche ambientali».
(Tenete e mente la qualifica dell’avvocata, poi vi dirò perché).
Sono loro, che firmano le sedici pagine di osservazioni.
Sedici pagine che cominciano definendo: «….il sito totalmente inidoneo ad accogliere un impianto di trattamento rifiuti organici e putrescibili, che determinerebbe impatti ambientali significativi in tutta l'area circostante cittadina e, in particolar modo, in quella abitata da centinaia di cittadini teramani, ed altre centinaia che quotidianamente lavorano nelle numerose attività produttive e commerciali presenti nell'area. Una simile istallazione è soggetta a possibili emissioni di tipo odorigeno…».
Emissioni di tipo odorigeno, cioè:
puzza.
Alla presentazione del biodigestore, chiesi al progettista se un impianto che “digerisce” produca cattivi odori, mi rispose: «No, lei immagini che si tratta di una pentola chiusa ermeticamente… non esce nulla, anche perché se uscisse qualcosa… sarebbe il biogas che è lo scopo dell’impianto».
Mi fido, non puzza.
(Tenete a mente la puzza, perché ne parleremo ancora, tra un po’).
Torniamo alle sedici pagine di numeri, di misure, di distanze, di riferimenti, anche tecnicamente approfondite, e delle quali si occuperanno gli uffici regionali, ma alla fine delle quali , i “due cittadini residenti nel Comune di Teramo”, osservano che «…la società Te.Am. dispone annualmente all'interno dell'ambito territoriale di competenza di un quantitativo di rifiuto umido da scarti alimentari inferiore alle 10.000 tonnellate. Pertanto, la richiesta di voler autorizzare un impianto da 35.000 ton/anno a fronte di tale minima disponibilità appare del tutto incoerente…»
Alzi la mano chi non sa che la TeAm e il MoTe stanno per fondersi, e che quindi il biodigestore servirà anche tutti i Comuni della montagna.
E ritorno alle 16 pagine, che così si chiudono: «Alla luce di tutte le considerazioni e delle criticità sopra esposte, si ritiene che il rilevante investimento di oltre 28 milioni di euro costituito interamente da risorse pubbliche, possa essere più utilmente impegnato in altri programmi di intervento, piuttosto che essere speso per la creazione di un impianto fortemente impattante dal punto di vista ambientale, peraltro ubicato in un sito non in possesso dei necessari requisiti localizzativi imposti dalla normativa vigente in materia, ed inoltre non più necessario dal punto di vista della programmazione regionale integrata per la gestione dei rifiuti».
Alzi la mano chi non sa che i fondi del Pnrr, una volta stanziati per un progetto, non possono essere destinati ad un altro.
E adesso, vi dico perché vi avevo detto di tenere a mente un paio di cose.
La prima, è la qualifica dell’avvocata, che si definisce «…componente Comitato coordinamento dei residenti del centro storico di Teramo, area “extra muros…», si definisce componente, non portavoce, ma quella definizione ha arricchito la documentazione regionale di una pec, firmata proprio dalla portavoce del Comitato, Luigia Ancarani, che spiega come la D’Angelo Gallo: «…non ha alcun titolo e/o legittimità per rappresentare e/o esprimere anche e soprattuto verso terzi, le volontà e/o le determinazioni del Comitato Centro Storico della città di Teramo Macroa area 5…».
Provo ad immaginare quanto gliene freghi, al Servizio Valutazioni Ambientali della Regione, di queste beghe, ma poi mi fa sorridere il fatto che, con un paio di telefonate, ho scoperto che almeno due altri componenti dello stesso Comitato (Fabio Cioschi e Cinzia Fino) si sono dissociati dalla dissociazione della portavoce, ricordando che Luigia Ancarani è appunto la portavoce… della voce del Comitato, non della sua. E loro non sapevano nulla della Pec alla Regione.
E adesso, la puzza.
Mi stupisce il fatto che il “dott. ing. Mauro Scacchia, esperto in tematiche ambientali” si preoccupi della puzza.
Non perché non ne abbia diritto, per carità, ma perché - cercando su internet - ho trovato un ing. Mauro Scacchia, «…direttore tecnico e procuratore del legale rappresentante della Sviluppo Tecnico Ambientale cioè Stam di Colonnella».
La Stam di Colonnella?
Cioé quella azienda di trasformazione del compost in fertilizzante, alla quale la Regione impose di spegnere gli impianti per sei mesi, a causa dei miasmi prodotti dalle lavorazioni.
Quella Stam?
Cioè l’azienda che secondo i giudici del Tar, aveva «…arrecato un serio e grave pericolo alla salute umana, provvedendo solo parzialmente a quanto imposto dalla prima diffida dell'agosto 2020».
Quella Stam?
Quella che vide nascere il Comitato “Basta puzza”?
Quella Stam?
A meno che non si tratti di un caso di omonimia, gentilissimo dott. ing. Mauro Scacchia esperto in tematiche ambientali, mi consenta due domande:
La prima: perché non ricordo di aver mai letto sedici pagine di sue osservazioni, per “emissioni di tipo odorigeno” a Colonnella, visto che la puzza è sempre puzza?
La seconda: la nascita del biodigestore a Teramo, potrebbe avere rifessi negativi sull’attività e il fatturato della Stam?
ADAMO