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L’anno scorso andava l’orsa.

Prima, andava forte il lupo.
Qualche anno fa, era trend il camoscio.

L’aquila funzionava tanti anni fa.

I pelosetti, quelli, vanno bene per ogni stagione.

Le tartarughe sono stagionali, come le trombate del fratino
Quest’anno, però, va di moda il cervo. 

All’improvviso, nel calendario modaiolo dell’animalismo ipocrita italico, è esplosa la nuova moda: tutti a preoccuparsi dei poveri cervi abruzzesi, quelli che la perfida amministrazione regionale, guidata da Mangiafuoco Marsilio, vuole sterminare.

Ormai, il dibattito è diventato nazionale, con tutte le sfumature che l’animalismo ipocrita e modaiolo è in grado di offrire: dal “delitto contro l’umanità” al “salviamo bambi”.

Ma andiamo per ordine.
Lo so che ne ho già scritto, quando morì l'orsa Amarena, ma la situazione impone un ritorno sul tema.

Tutto comincia quando la Regione Abruzzo ha deciso di procedere con l’abbattimento selettivo di 469 cervi, sulla base di una valutazione tecnico-scientifica, a seguito di un parere positivo dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l’Ispra. Gli animali, distinti per sesso ed età, saranno abbattuti negli ambiti di caccia che si estendono nei territori di Avezzano, Sulmona, Valle Subequana, L’Aquila e Barisciano, al di fuori delle aree protette. Le operazioni inizieranno dal prossimo 14 ottobre fino al 15 marzo 2025. 

Una decisione assunta perché i cervi, in Abruzzo, sono diventati troppi e infestanti, come i cinghiali, e siccome sono pericolosi, vanno abbattuti.

A proposito di pericoli, secondo la Regione i cervi avrebbero causato nel periodo 2019-2023: ben 806 incidenti, più di 160 ogni anno nel solo Abruzzo. 

Un dato smentito dal Touring club (associazione che, personalmente, credevo fosse estinta come il toporagno di Sumatra), che solleva il dubbio sull’attendibilità del dato, riferito ai soli cervi, dichiarato dalla Giunta Regionale dell’Abruzzo.

Quindi, gli incidenti, sarebbero meno.

Dunque, per i signori del Touring… è il numero che fa la differenza… e mi piacerebbe sapere quale sia, nella loro approfondita valutazione, la soglia minima di incidenti, che possa giustificare l’abbattimento dei cervi. 

Nell’attesa, vi dico la mia: neanche uno.

Non serve una prova d’incidente, magari grave… mi basta la possibilità che accada.
La sola esistenza del rischio che una persona possa restare ferita in un incidente, provocati da un cervo pesante qualche quintalata, è per me condizione sufficiente a giustificarne l’abbattimento. 

E con questo, mi sono probabilmente giocato la possibilità di diventare un domani socio onorario del Touring Club.

Fa nulla, sopravviverò.

E tanto che ci sto, mi gioco anche quella del Wwf.

La nota multinazionale dell’ambientalismo, che in Italia raccoglie oltre 20milioni di euro l’anno e occupa 120 persone, con stipendi che vanno dai 25mila ai 75mila euro, ha infatti lanciato una raccolta di firme contro l’abbattimento dei cervi.

Ve ne offro un passo: «Una decisione che lascia davvero attoniti, sia sul piano  naturalistico che su quello emotivo: per accontentare un piccolo gruppo di cacciatori, verso i quali presidente e vice-presidente della Regione Abruzzo manifestano una sempre maggiore sudditanza, si abbandona impunemente la visione di un Abruzzo capace di convivenza con la fauna selvatica e, soprattutto, si tradisce un modello di educazione ambientale e di tutela della biodiversità faticosamente delineato negli anni».
Sembra sfuggire, allo sdegno del Wwf, che al cervo dedica la copertina del proprio bilancio (lettura che vi consiglio), il fatto che quello concertato con l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, è un piano - approssimato per difetto - che prevede l’abbattimento del 10% dei cervi in Abruzzo, che attualmente sarebbero più di 5mila, raddoppiati dal 2018 ad oggi.

Non è uno sterminio, è un’operazione di contenimento attuata con le modalità del prelievo conservativo. 

Ma il cervo va di moda, e l’ipocrisia ambientalista si nutre di mode.

Avrete notato, immagino, con quale insistenza io abbia fatto riferimento all’ipocrisia.

Perché tutta la storia dell’ambientalismo italiano, è una grande storia di ipocrisia.

E di mode.

Se è la vita degli animali che si vuole difendere, allora va difesa quella di tutti gli animali.

Ma proprio tutti.

Non solo degli orsacchiotti simpatici come winnie pooh.

Non solo della famigliola di Bambi.

Non solo di tutti i pelosetti che scodinzolano o miagolano.

Di tutti. 

Anche di quelli che non scodinzolano e non miagolano, ma magari pungono o squittiscono.

Come le zanzare e i topi.

Perché anche quelli sono animali.

E hanno lo stesso diritto alla vita dei cervi, degli orsi, dei cani e dei gatti.

«Nessuno restituirà Amarena ai suoi figli e a questa vita. Ma chi l'ha uccisa deve pagare - commenta l'Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) - Auspichiamo che si arrivi a una condanna esemplare nei confronti dell'inquisito. Noi ci costituiremo parte civile nel processo». 

Se merita una “condanna esemplare” l’uomo cattivo che ha ucciso mamma orsa… quale condanna meritano i Sindaci che ordinano, ogni anno, disinfestazioni e derattizzazioni?

Milioni di mamme zanzare, che muoiono gassificate, hanno meno diritto alla vita di una sola mamma orsa?

E in base a quale concetto etico, la vita di quei cinquecento cervi merita più rispetto di quella di tutti i topi che vengono avvelenati?
Il problema, è che topi e zanzare non andranno mai di moda.

L’ipocrisia ambientalista, quella invece, si porta in tutte le stagioni.
ADAMO