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LEGGECONVI.jpgPrassi, correttezza, opportunità e anche un pizzico di italiota paraculaggine, vorrebbero che tutti, in un momento come questo, si unissero al coro (velatamente ipocrita) di quelli che hanno “fiducia nella magistratura”. 

Io, non ne ho.

Non di tutta, anzi.

Sono nipote e figlio di avvocati, ho per la “legge” un sacro rispetto e grande ammirazione di chi sceglie di vestire una toga, per difenderla.

Solo poche settimane fa, su queste pagine, ho tessuto le lodi di un magistrato e di una sua sentenza.
Ma non ho fiducia di tutta la magistratura.

Non di una parte di quella teramana.

Anzi, per non lasciare spazio al dubbio: non ne ho nella Procura di Teramo. 

E per essere ancora più preciso (odio le generalizzazioni) non ne ho in chi ha creato le premesse di questo collettivo funerale civico.

E’ una sfiducia, la mia, che si nutre di qualche (anche recente) vicenda personale, del mio vissuto professionale e che, in queste ore, la “questione” del Delfico ha esponenzialmente potenziato. 

Sarà che, dopo anni di silenzio, nei quali della Procura teramana abbiamo avuto modo di scrivere più per eventi a margine, quali la presentazione dell’ultimo libro del Procuratore o magari una rappresentazione teatrale in Tribunale, che per inchieste che hanno “fatto notizia”, all’improvviso quella stessa Procura conquista le prime pagine con il sequestro di una scuola.

In una provincia, nella quale non ricordo un così lungo periodo senza “grandi inchieste” (e la racconto da 40 anni), all’improvviso il silenzio si squarcia ed esplode il “caso nazionale”.

Ed è quello di una scuola, tanto insicura da dover essere sfollata immediatamente, a fine lezioni del primo giovedì di ottobre… per una questione di perizie delle perizie.

Sette anni dopo l’ultima scossa di terremoto.

Sette anni nei quali, se tutto fosse davvero così “tragico”, mia figlia Giulia ne avrebbe vissuti cinque in costante pericolo di vita… ma mi salva dalla rabbia a posteriori, la certezza che nulla sia davvero così tragico e che, alla fine, di tutta questa vicenda, non resterà che l’ennesimo capitolo triste della storia di una città sempre più vittima di sé stessa.

Perché questa, è una storia di paradossi sconcertanti.

L’ultimo, che sfiora il copione della commedia dell’arte, è quello vissuto ieri in piazza Dante, nel momento più bello ed emozionante della straordinaria manifestazione dei ragazzi del Delfico, riuscitissima, anche se leggermente inquinata dall’esercito del selfie della gianguideria, che sul tema delle scuole chiuse dovrebbe dignitosamente evitare comparsate.

Quella che avete visto tutti, è stata una folla adolescente che, sulle scale della scuola dalla quale è stata sfrattata, cantava la voglia di rientrarci.

Quella che ho visto io, è stata una manifestazione autorizzata dalla Questura sulle scale di un palazzo sequestrato dalla Procura perché pericolosissimo.

Ripeto e sottolineo: ragazzi affollati sotto l’antico porticato di un palazzo, nel quale è vietato l’accesso, perché “sismicamente” insicuro.

Delle due l’una: o la Questura ha sottovalutato il rischio, o la Procura l’ha sopravvalutato.

In mezzo, ci sono i sigilli al portone antico di un palazzo che è molto più di una scuola.

Se fosse una persona, il signor Convitto Delfico sarebbe un arzillo 90enne che, otto anni fa, dopo una visita medica, con le analisi di rito, è stato considerato sanissimo. Otto anni dopo, però, a pochi giorni dalla festa che ha avviato l’inizio del conto alla rovescia verso il suo primo secolo, è stato ricoverato in rianimazione, perché giudicato in fin di vita da un medico che non l’ha visitato, ma ha scoperto che in quella cartella clinica di otto anni fa non c’era l’elettrocardiogramma.

E a nulla vale l’evidente condizione di benessere del signor Delfico. 

Ricoverato in rianimazione.
E basta.
D’autorità.

Senza una tac alle colonne.

Senza una risonanza alle scale.

Senza neanche quell’elettrocardiogramma mancato otto anni fa.

Ricoverato e basta. 

Lungi da me l'idea di sostituirmi al magistrato, pardon: al medico, ma come direbbe Elso Simone Serpentini, al quale devo anche questa metafora medico - giuridica, il buon senso avrebbe dovuto consigliare a quel medico un approfondito check up, prima del ricovero, anche alla luce del fatto che il signor Delfico, nei suoi novant’anni, ne ha vissute non poche …ma senza per questo mai accusare crolli… fisici.

Ha attraversato una guerra, i bombardamenti, una mezza dozzina di terremoti (considerando solo quelli con magnitudo superiore al 5), tre o quattro “nevicate del secolo”, lo scavo di un enorme garage che, nelle previsioni dei contrari ad oltranza, “ne avrebbe provocato il crollo immediato” ed anche le - fin troppo spesso scellerate - politiche di gestione del traffico che, tra brutti quadrotti di cemento e inadeguate fioriere, non l’hanno sottratto all’assedio delle auto.

Eppure, è ancora lì.

E ci resterà.

Anche da solo.

Anche vuoto.

Con la fiera certezza di chi sa che i ragazzi torneranno e che, per quanto triste, questo sarà solo un dettaglio di una storia troppo grande e troppo importante.

Con la tranquillità consapevole di chi sa che, comunque vada, ci sopravviverà.

A tutti noi.

Anche ai funerali civici.

Anche ai paradossi.

Anche ai selfie.

Anche a me.

E alla Procura.

ADAMO