La memoria è un dovere. E’ il dovere del ricordo.
Conservare la memoria di una persona, significa anche e soprattutto impegnarsi a mantenere il ricordo di quella persona.
Della sua vita.
Del suo esempio.
Delle sue idee.
Quando si decide di affidare quella memoria ad una targa, esposta in un luogo pubblico, quel dovere di ricordare si fa collettivo. Perché quella vita, quell’esempio, quelle idee hanno lasciato una traccia nella vita di tutti.
Per questo, la targa che ricorda Massimo Speca, va rimossa dalla CaFè.
Sì, questa targa, che ricorda il consigliere comunale scomparso a quarant’anni nell’estate di due anni fa, e che alla CaFè donò il nome e il senso di una visione, deve scomparire.
Deve essere rimossa.
Perché Massimo voleva che fosse “Uno spazio deputato alla condivisione e alla costruzione del cittadino in senso globale, la somma di tutte le relazioni”, del tutto diverso da quella che è oggi, governata dalla diarchia onnipotente di Chiara Ciminà e Lanfranco Lancione, principi regnanti su una sorta di enclave destinata al culto della gianguidità, declinata in tutte le forme possibili, meglio se condite da musica, sbicchierate e mangiari da sagra.
Apro le virgolette, e da qui in poi vi racconto una storia di mortificata memoria e disatteso dovere al ricordo:
«Negli intendimenti con cui è stato concepito lo spazio Ca.Fè., ritengo che poco si addicano eventi, svolti sia all’interno sia all’esterno dello stabile, come “Ca.Fè. incontra Cuba”, “FANTA CA.FE.”, “La noche latina”, “Vamos a bailar” o “Spaghetti Rochenroll” o meglio, ritengo che questi eventi, assolutamente legittimi, affatto si addicano al nome di mio Figlio»
Sì, avete letto bene: mio figlio.
Perché queste parole. le ho rubate dalla lettera, protocollata in Comune e indirizzata al Sindaco, scritta dalla professoressa Teresa Di Giacinto Speca.
La madre di Massimo.
Una lettera che non avrebbe voluto scrivere, ma non ha potuto evitare, perché «Ho provato più volte a contattarLa, richiedendo financo un appuntamento, purtroppo rinviato ed ho potuto avere con Lei soltanto une brevissima conversazione telefonica».
Una lettera che è, nella rigida compostezza di uno stile elegante ma deciso, la profonda manifestazione di disagio di una madre che vede, nei fatti, mortificata la memoria e disatteso quel dovere del ricordo, che quella targa sembrava invece voler affidare a tutti noi.
«Non avrei mai pensato di dover rammentare alla collettività, rappresentata dalla Sua alta figura istituzionale, quali fossero gli intendimenti del mio compianto figlio, Massimo Speca, alla base della creazione dello spazio ex scuola Carlo Febbo».
Non c’è nulla della visione di Massimo, nella Ca.Fè di oggi.
«La memoria e la valenza di questa targa non sono in linea con il tono che ormai ha preso lo spazio ex Carlo Febbo. Pertanto, ritengo sia giunto il momento di richiedere, ufficialmente, la rimozione della stessa in quanto, ormai, venuti meno i presupposti culturali e morali per cui il tutto fu concepito».
Sottolineo: «…venuti meno i presupposti culturali e morali per cui il tutto fu concepito…», scrive la madre di Massimo.
E non solo: «Allo stesso tempo, chiedo che venga rimosso anche “Il Ritratto” raffigurante Massimo poggiato nella provvisoria sala consiliare sin dai giorni della sua triste dipartita. Quell’immagine non rappresenta Massimo, la sua essenza, e, mi perdonerà Signor Sindaco, neanche questa deriva politica lo avrebbe rappresentato».
Eviterò di ricordare, a questo punto, quale strumentale reazione scatenò, in campagna elettorale, un mio riferimento personale al mio amico Massimo Speca, su quanto un certo “fare” della politica gianguidesca non gli sarebbe piaciuto. Leggere, nelle parole della madre, l’evidente distanza tra quella che Massimo intendeva quale “politica per Teramo” e la deriva attuale di un governo cittadino, che confonde il fare con l’apparire, i progetti con gli annunci e la virtualità dei selfie con la realtà dei risultati, è per me l’ulteriore conferma di quanto grande sia stata, per questa città, la scomparsa di Massimo.
Che non si sarebbe mai riconosciuto nella...visione politica di uno “Spaghetti Rochenroll”.
In fondo, il variopinto varietà della CaFè, non è che una rilettura sannicolese di quelle Indomite girandole di concerti e concertini, che la gianguideria ci offre in piazza Martiri.
Chiamandole "cultura".
Niente che somigli a Massimo.
«Parlavo spesso con lui della città che avrebbe voluto, dei progetti che stava immaginando e in parte realizzando ma, anch’essi, purtroppo, sono stati deposti in un angolo buio di chi sa quale scrivania. Se davvero aveste tenuto a cuore la memoria della figura di Massimo, avreste tentato di realizzare qualcuno di quei sogni. Ciò non è accaduto e non accadrà. Per questo, con le due rimozioni richieste, chiedo di riemettere il ricordo di mio figlio all’intimità di coloro che lo hanno seriamente stimato in vita, apprezzato ed amato».
Anche io, parlavo spesso con Massimo, della città che avrebbe voluto e dei progetti che stava immaginando.
Togliete quella targa e quel quadro.
Non ve li meritate.
ADAMO