Me lo ricordo ancora, io, il mio esame di Maturità.
Anno scolastico ’82/’83, Siena, Aula Magna del Liceo Classico Enea Silvio Piccolomini.
Tanta ansia, un po’ di paura, ma anche la percezione chiara di essere arrivato ad uno degli appuntamenti importanti della vita.
Fu bello.
Il compito di Italiano, soprattutto.
Il "tema".
Non immaginavo che quelli sarebbero stati gli ultimi fogli protocollo della mia vita.
Di lì a poco, infatti, sarebbe arrivata una macchina da scrivere a cambiare il mio futuro.
Altri tempi, altri esami. Diversi, ma non in tutto.
Il compito di Italiano, per esempio, c’è ancora.
Ed è ancora la prima prova, quella uguale per tutti.
Perché l’Italiano, in questo nostro sgangherato Paese, è ancora importante.
Se poi, come nel mio caso, hai scelto il Classico, è molto più che importante.
Perché non è solo una “materia”, è in fondo il senso stesso del nostro essere liceali, l’orizzonte sottinteso di tutto il nostro studiare.
È per nobilitarlo, che dobbiamo sapere di greco.
È per migliorarlo, che dobbiamo sapere di latino.
È per arricchirlo, che dobbiamo sapere di filosofia.
Perché al Classico si debba sapere anche di matematica, però, continuo a chiedermelo, ma è un mio limite antico.
Torniamo all’esame di Maturità.
Non so voi, ma a me il “tema” piacerebbe rifarlo.
Anzi: sapete che c’é?
Lo rifaccio.
Qui, adesso.
Mi autoassegno una traccia e faccio un tema.
Ecco la traccia:
Immagini lo studente che in una classe dell’antico Liceo Classico di una cittadina della provincia italiana, nessuno tra i maturandi, neanche quelli ammessi con medie altissime, abbia meritato il massimo dei voti all’esame di Maturità. E ne immagini i motivi.
Svolgimento:
Per praticità, ma solo per praticità, immaginerò che l’Antico Liceo Classico sia il Delfico, e sempre per praticità immaginerò che i ragazzi che non hanno meritato neanche un “100” siano gli undici maturandi dell’indirizzo “Europeo” dell’anno scolastico 2024 / 2025. Sì, lo so che sembra un ragionamento per assurdo, perché lo sanno tutti che l’Europeo è l’indirizzo più duro, quello nel quale si fanno più ore, più rientri e si studia di più; così come sanno tutti che, dopo cinque anni di Europeo, in media si arriva agli esami con un livello di preparazione decisamente più alto di ogni altra scuola.
No, non ho scritto sezione o indirizzo: ho scritto proprio scuola.
Inevitabile, quindi, che ci siano studenti che meritano non solo il “100”, ma anche la lode.
Detto questo, facciamo finta che a Teramo, quest’anno, all’Europeo nessuno abbia preso “100” e che a determinare la “quantità” del voto sia stato - guarda un po’ - proprio il compito di Italiano, dal quale tutti sono usciti con le ossa più o meno rotte, perché il membro esterno di Italiano ha avuto, sui compiti dei ragazzi, una mano pesantissima, infliggendo (verbo che non uso a caso), voti che sono sembrati condanne mortificanti, sentenze penalizzanti, vere e proprie espressioni numeriche dell’umiliazione.
Voti che poi, ovviamente, hanno avuto un peso determinante nella definizione di quel “voto di diploma” che nessuno, tra gli undici maturandi, ha considerato giusto e appropriato.
Adesso, però, rischierò di andare fuori tema.
Perché da questo momento in poi, la quotidianità del mio essere giornalista cercherrà di imporsi sulla memoria del liceale, e dall’immaginazione passerò ai fatti, avvenuti e futuri.
Quelli avvenuti, l’avrete capito, sono gli undici neodiplomati del Classico Europeo del Delfico, tra i quali non c’è stato neanche un “100” e il voto più alto, un “98” sa quasi di sberleffo. Possibile che tra quegli undici, sopravvissuti ad un quinquennio di studio severo, nessuno meritasse un 100? Eppure, c’erano state ammissioni con medie altissime, ma nessuno ha superato lo scoglio di quel compito di Italiano. Mentre mi chiedo se il prof così rigido abbia l'onore di avere nella sua classe di provienza tutta la cinquina del Campiello, alla quale concedere una stentata sufficienza, non vi tedierò ricordando che l’esame di Maturità non è la finale che oggi Sinner giocherà a Wimbledon: non è un tutto per tutto a gara unica, ma l’atto finale di un viaggio durato cinque anni, nel quale si deve, non "si può" ma proprio "si deve", tener conto di tutto il percorso quinquennale dei ragazzi.
Quel “100” mancante, non è la perduta medaglia di un liceale vanitoso, ma la castrazione di una speranza, la distruzione di un rapporto di fiducia, un’ala spezzata nel momento in cui - con quell’esame - i ragazzi stanno prendendo la rincorsa per volare verso l’età adulta.
A questo punto, immagino, mi direte che non può essere solo un professore a determinare un voto, ma è la valutazione condivisa di una commissione, che ha un presidente e, soprattutto, tre membri interni, che conoscono i ragazzi e che dovrebbero difenderli, anche dai rischi di una palese sottovalutazione.
L’hanno fatto? Se sì, come? Se no, perché? Tra quegli undici ragazzi, davvero nessuno meritava un 100? E perché lo meritavano quelli dell’altra sezione valutata dalla stessa commissione?
Domande che non resteranno sospese, perché a queste dovranno dare una risposta le richieste di accesso agli atti già inviate alla Preside reggente del Delfico, la professoressa Letizia Fatigati.
Per ora, sono tre, ma il loro numero è destinato ad aumentare, perché sono molti i ragazzi che vogliono chiedere una seconda valutazione del loro compito di Italiano, anche con una lettura comparativa degli altri valutati dalla stessa commissione. Una volta raccolte tutte le richieste di accesso agli atti, la preside romperà i sigilli di ceralacca del plico dell’esame dell’Europeo e consegnerà i materiali richiesti ai ragazzi, perché sono stati loro - già maggiorenni - a firmare le richieste di accesso agli atti, sulla base delle quali potranno poi valutare un eventuale ricorso al Tar.
Mi accorgo solo adesso, però, che la traccia chiedeva di immaginare i motivi della bassissima valutazione dei compiti di Italiano dei ragazzi dell’Europeo.
Ci provo, con un finale complottista: tra gli undici maturandi c’era anche la figlia di una preside, che è la stessa preside di un Liceo dal quale il professore di Italiano venuto a fare il commissario, se ne era andato proprio per dissapori con la preside.
Ho esagerato con l’immaginazione, vero?
Lo sapevo: so’ andato fuori tema…
ADAMO