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Screenshot_2025-10-10_alle_12.10.16.pngC’è qualcosa di paradossale nella lettera firmata da FLC CGIL Teramo, UDU, Saturno – Progetto Bioscienze e da alcuni docenti dell’Università di Teramo: nel nome della pace, della giustizia e della libertà, si chiede all’università di fare esattamente il contrario di ciò per cui esiste — evitare il confronto.
I firmatari si dicono indignati perché l’Ateneo avrebbe dovuto ospitare Stefano Pontecorvo (Leonardo S.p.A.) e Marco Minniti (Fondazione Med-Or). Due nomi “impresentabili”, secondo loro, poiché legati al mondo della difesa e, per estensione, complici dei crimini di Israele a Gaza. Il ragionamento è semplice: se qualcuno lavora in un settore che produce armi, non può mettere piede in un’aula universitaria.
È una posizione che si presenta come morale, ma che in realtà è profondamente illiberale.
Perché se l’università non è più il luogo dove ci si confronta anche con chi si ritiene “dalla parte sbagliata”, allora smette di essere università. Diventa una zona protetta del pensiero unico, dove si ammettono solo parole che rassicurano.
Pensavamo di aver toccato il punto più basso della nostra storia universitaria quando, per nagera ad un anziano signore di parlare, l'Ateneo venne addirittura chiuso.
Si chiamava Faurisson, era un negazionista dell'Olocausto, nulla di quello che diceva era condivisibile o accettabile, ma impedirgli di parlare fu un atto sconcertante.
Non si può avere paura delle parole.
Alle parole, soprattutto a quelle più "scomode" si risponde con le parole, non col silenzio imposto d'autorità. 
Invocare la cultura critica e poi impedire il contraddittorio è un capolavoro di incoerenza.
La cultura critica vive di domande, non di anatemi.
È curiosità, non censura.
È la fatica di ascoltare anche chi non ci piace.
Chi chiede di “interrompere ogni forma di collaborazione” con chiunque abbia legami con il mondo della difesa, chi invoca un’università “decoloniale e libera dai legami con l’industria bellica”, non sta difendendo la libertà: sta costruendo una moralità a geometria variabile, che decide chi può parlare e chi no.
Eppure, basterebbe una cosa semplice: ospitare Pontecorvo e Minniti, ascoltarli, porre domande, contestarli — se serve, anche duramente. Questo è il compito di chi fa cultura: non chiudere le porte, ma tenere il dibattito aperto, anche quando è scomodo.
L’università non è un santuario.
È un laboratorio di conflitto intellettuale.
In nome della pace, non si vieta la parola.
Ad'A