
Fino a ieri, ho considerato il Premio per la fotografia nel cinema dedicato a Gianni Di Venanzo, soltanto inutile.
Culturalmente parlando, per me non ha alcun senso.
E non riesco ad intuire quale sia il segno che lascia alla città.
Da ieri, però, oltre a considerarlo inutile, lo considero anche dannoso.
Perché ieri, ho visto quello che succede durante le proiezioni dedicate alle scuole del Premio “Gianni Di Venanzo”, evento che dovrebbe celebrare la grande arte della direzione della fotografia cinematografica.
E invece, la celebrazione si trasforma in parodia.
Perché le proiezioni non avvengono in un cinema, né in uno spazio attrezzato per il buio e per l’emozione visiva. No, in quel tendone montato in Piazza Martiri, aperto su due lati, con troppa luce, uno schermo piccolo, un videoproieettore e condizioni di visione a dir poco imbarazzanti, la fotografia del cinema si snatura.
A un certo punto della mattinata, addirittura, una parte della platea era letteralmente invasa dal sole, con gli studenti costretti a proteggersi gli occhi, cercando di intuire i colori e i volti dei protagonisti, tutti resi indistinguibili dalla luce.

Come può, la fotografia — quella vera, quella che vive di ombre, contrasti, profondità e buio — essere costretta a fare i conti con la luce più impietosa che ci sia: quella del sole?.
Eppure, stiamo parlando di un premio che porta il nome di Gianni Di Venanzo, maestro assoluto della fotografia italiana, collaboratore di Fellini, Antonioni, Rosi. Un artista che costruiva emozione e linguaggio con la luce.
Immaginarlo qui, sotto un tendone sbiadito, è quasi un insulto postumo.
Come insultante, per noi cittadini, è il contributo di 48 mila euro concesso dal Comune.
Quarantottomila euro per un premio dedicato alla fotografia che… non valorizza la fotografia.
Una cifra che dovrebbe garantire almeno il rispetto minimo per l’oggetto della celebrazione: la qualità dell’immagine, la cura della proiezione, l’esperienza dello spettatore.
E invece, sembra che a contare sia solo la cornice burocratica, la passerella delle premiazioni, la foto di rito.
Il selfie coi vip.
E che vip!
Reggetevi forte, questa sera alla premiazione (sempre sotto allo stesso tendone), parteciperanno, quali ospiti d’onore: Marina Tagliaferri, Enzo De Caro, Loredana Cannata, Anna Lapenna Malerba, Giuseppe Piccioni, Carmine Elia, Roberto Andò, Caterina Carone, Andy Luotto, Marco Marzocca, Simone Annichiarico, Eva Santercole, Guido Barlozzetti, Antoine de Clermont-Tonnerre, Antonio Zeccola, Giacinto Palmarini, Pietro Giampietro, Carlo Vulpio, Fariborz Kamkari, Gianni Di Gregorio, Zenone Benedetto.
Confesso, ne conosco forse una metà, mentre gli altri “ospiti d’onore” sono, per me, degli illustri sconosciuti, ma domani, nell’immancabile diluvio di selfie, almeno potrò riempire di nuovi volti i miei dubbi.
Il dubbio sulla proiezione scolastica, invece, resta.
Che senso ha parlare di cultura visiva, se non si è in grado di offrire neppure il buio necessario per guardare un film?
Perché portare i ragazzi in quell'orrendo tendone e non, ad esempio, allo Smeraldo?
La bellezza non nasce per caso: va rispettata, curata, messa nelle giuste condizioni per esistere.
Il Premio Di Venanzo, se vuole davvero onorare la memoria di chi la luce la sapeva dominare, deve cominciare dal buio.
Totale.
Spegnendosi, per sempre.
ADAMO
PS. Ad ulteriore conferma dell'interessa che il Di Venanzo genera, ieri sera, alla proiezione del film "Onde ribelli" in "Sala" c'era solo una persona. Una soltanto. 

