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Pinovincenzo

Il tempo sembra essersi fermato nel silenzio surreale dell’alta montagna.

Non una parola, solo lo sguardo di Pino che più in basso, dove il canale è meno ripido, segue i miei movimenti.

Se cadessi sono certo proverebbe a fermarmi, ma verrebbe inevitabilmente travolto.

La concentrazione è assoluta. Nella mano a monte impugno una racchetta  - piccozza, munita di una piccola “becca” con la quale, nel caso di caduta, potrei provare una velleitaria manovra di “autoarresto”; ai piedi degli sci di legno da “telemark”,  lunghi ben 180 cm, realizzati da un artigiano di Silverton (Colorado), uniti agli scarponi da attacchi modello “hammerhead” che, come avvisa l’artigiano americano che li ha realizzati “are not  releasables”.  Non si sganciano!

Il ripido pendio del Quinto Canale del  monte Redentore, anticima del Vettore nel gruppo dei Sibillini, all’inizio sembra quasi voler invitare l’incauto sciatore che, dopo le prime curve, vede il pendio sparire a precipizio sotto i suoi piedi.

Già considerato difficile per un esperto scialpinista, per uno sciatore “telemark” è semplicemente una follia, se non un suicidio.

Ma come sono mai potuto finire in una simile trappola? 

Il 9 aprile 2006 sono partito da Teramo insieme a Pino Sabbatini ed altri  sei sciatori alpinisti, ma durante l’ascensione al monte Redentore, Pino ha imposto il suo passo insostenibile e in vetta ci siamo trovati solo noi due.

E adesso da dove scendiamo?” gli chiedo fiducioso non conoscendo affatto i monti Sibillini.

Scendiamo da qui, più avanti ci dovrebbe esser un tratto  un po’ ripido….”, mi risponde con calma.

Scoprirò poi che neppure Pino era mai sceso dal famigerato Quinto Canale, soprannominato “la virgola”, e le sue informazioni  erano limitate alla lettura di una buona guida di scialpinismo.

Pino possedeva un dono innato: alla indiscussa bravura tecnica e forza, sommava la capacità d’infondere grande sicurezza e fiducia, qualità indispensabili per divenire una grande guida alpina qual è stato.

Il 2006 fu una stagione scialpinistica straordinaria, nel corso della quale l’amico, per prepararsi all’esame da guida alpina, cercò di affinare le sue capacità di sciatore e così superare l’unico punto debole.

Fu allora che salimmo e scendemmo da tutti i più noti percorsi scialpinistici del Gran Sasso, Maiella e Monti della Laga.

Ma torniamo sui Monti Sibillini, lungo il ripido “Quinto Canale” del Redentore:  ho solo una possibilità di salvezza, sciare bene.

Non posso sbagliare.

Inizio a traversare in diagonale, ma dopo pochi istanti lo stretto canale si chiude e sul margine è ricoperto di ghiaccio.

Non ho alternative, devo eseguire con rapidità e precisione chirurgica  la complessa virata “telemark” e sperare che le lamine tengano.

Non ho il tempo neppure di provare paura. La concentrazione è assoluta.

La prima è fatta! Ma è solo l’inizio di una serie di curve che appaiono interminabili perché la difficoltà, anche superato il primo ripido salto, rimane sostenuta.

Ho però acquisito la consapevolezza di farcela e la discesa prosegue infinita verso l’immenso altipiano di Castelluccio di Norcia, in parte già coperto dalla prima fioritura.

Nell’ultimo tratto, finalmente meno ripido e con neve meno gelata, diamo sfogo alla tensione e all’adrenalina accumulate, sciando a curve larghe e urlando a squarciagola, mentre l’inseparabile cane Bacco ci segue divertito, ruzzolando sulla neve e rischiando più volte d’esser investito dai due folli sciatori.

Finalmente possiamo fermarci sul pendio, senza rischiare che la caduta di uno possa travolgere l’altro ed è allora che  chiedo a Pino, quasi ridendo:

“ Ma come c...o ti è venuto in mente di farmi scendere da qui?”.

Mi risponde con un sorriso:

dopo esser passato mi sono chiesto: ma Vincenzo come c…o farà a scendere da qui?”.

Scoppiamo in una sonora risata immortalata nell’autoscatto che, riposti i caschi nello zaino, ci ritrae con in testa due cappelli tirolesi!

E poi giù, a rotta di collo, fino alla piana di Castellucio di Norcia, per raggiungere la mitica osteria Il Capitano da cui usciremo barcollando solo a tarda sera.

Caro amico mi manchi.

                                                        Vincenzo di Nanna