La pazienza è finita. Questo sembra essere il significato non troppo implicito della straordinaria mobilitazione degli agricoltori a cui stiamo assistendo in questi giorni, per ora una sola categoria produttiva che però si sta ribellando senza mezzi termini. Di qui la domanda che sorge spontanea: quanto ancora potrà durare una Unione europea che continua a portare avanti una politica contraria agli interessi delle nazioni che la compongono, favorendo al tempo stesso quelli speculativi delle grandi compagnie multinazionali?
La scelta paradossale di dare agli agricoltori sussidi per non coltivare la terra col pretesto del "Green" va, infatti, di pari passo con misure come l'autorizzazione alla vendita della farina di grillo e degli alimenti a base di quest'ultima, prodotti dalla multinazionale vietnamita Cricket OneLtd. Al tempo stesso, l'Europa favorisce le importazioni dei prodotti dal Terzo mondo.
In questo modo, con le multinazionali che abbattono i costi mediante prodotti come la farina di grillo da un lato e le importazioni dai Paesi in via di sviluppo che hanno a loro volta costi di produzione più bassi, è sufficiente aumentare quelli dell'agricoltura europea, come sta avvenendo con la Politica agricola comune (sempre con la scusa del "green"), per annientare un intero settore. E' chiaro che si tratta della categoria più colpita: mentre durante i lockdown la gente era costretta a lottare trasversalmente per la libertà, dai dipendenti statali ai proprietari delle p.m.i., oggi sono anzitutto gli agricoltori a dover combattere per la sopravvivenza, anche perché la produzione agricola non si può spostare: si possono “de localizzare” le imprese, ma non certo i terreni agricoli.
La Pac è un altro strumento che va a colpire gli interessi dei cittadini europei, i quali però ora stanno cominciando a prendere coscienza e a creare un fronte comune per liberarsi da misure oppressive e dannose, il cui obiettivo è come sempre la destabilizzazione del mercato nazionale interno a vantaggio della speculazione internazionale e delle multinazionali.
Vincenzo di Nanna