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C’era una volta la potestà genitoriale e prima ancora la patria potestà …
Così iniziano le favole e dobbiamo sperare che anche la storia della cosiddetta “famiglia del bosco” di Palmoli, abbia un lieto fine come tutte le favole.
Ma l’allontanamento “manu militari” dei tre bambini dai loro genitori Nathan Trevallion e Catherine Birmingham che, almeno in apparenza, vivevano felici e sereni nella “casa del bosco”, più che una favola sembra esser la trama di un dramma che, tuttavia, si ripete quotidianamente nell’applicazione concreta dei provvedimenti di tipo cautelare che i tribunali “provvisoriamente” adottato a “tutela” dei minori, ma che contribuiscono alla sempre più crescente delegittimazione del ruolo dei genitori nel loro compito di educazione dei figli.
L’allontanamento dai genitori, purtroppo, nonostante dovrebbe rappresentare un provvedimento eccezionale a cui far ricorso solo nel caso di concreto e grave pericolo per i minori, è disposto con sempre maggior frequenza, persino nei casi in cui sia stata segnalata una situazione di semplice conflittualità tra i genitori.
Accade, allora che, sulla base di un’attività istruttoria del tutto sommaria se non addirittura carente, la responsabilità dei genitori sia sospesa, i figli affidati ai servizi sociali e, non di rado, collocati in comunità e così, provvedimenti che dovrebbero rivestire carattere eccezionale, finiscono per rappresentare la normalità, al punto che l’eccezione diviene regola.
L’applicazione più pericolosa si registra con i procedimenti soggetti al cosiddetto “codice rosso”, concepito per rafforzare la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, ma che, per garantire una risposta più rapida ed efficace del sistema giudiziario, ha finito per imporre un’istruttoria frettolosa e sbilanciata solo a vantaggio della presunta vittima.
Sempre più spesso accade che, sulla base della semplice denuncia della presunta persona offesa, siano adottati provvedimenti che limitano o inibiscono i rapporti tra padre e figli e il povero genitore subisca così un processo di criminalizzazione preventiva e senza possibilità di difesa, con danni irreparabili che spesso conducono alla completa alienazione del rapporto con la prole.
Il genitore presunto maltrattante viene, allora, sempre più di frequente ed a volte sulla base di una semplice denuncia – querela, sottoposto all’inferno degli incontri protetti che finiscono per delegittimare e screditare la figura paterna, con danni permanenti e irreparabili nel rapporto con i figli.
Ma, anche dopo l’archiviazione o l’assoluzione con la formula più amplia e persino quando si scopre la matrice calunniosa della denuncia, le tribolazioni del malcapitato non cessano, quando, come sempre più spesso accade, sia stato “giudicato” come “genitore incapace”, pur in difetto d’ogni tipo di patologia e solo sulla base di un parere espresso da uno psicologo nominato dal Tribunale.
Ma, se l’accusa si è dimostrata infondata non dovrebbe esser sufficiente, per riabilitare il malcapitato, la sentenza d’assoluzione?
Purtroppo così non è: l’assoluzione spesso arriva tardi, a volte dopo anni e ormai il danno è stato fatto e i figli sono stati trasformati in orfani di un padre vivente, ma completamente delegittimato.
Se, dunque, questo è il doloroso quadro che caratterizza l’applicazione di provvedimenti cautelari “provvisori”, ma che producono i loro effetti per anni destabilizzando le famiglie e delegittimando i genitori, non stupisce affatto che il tribunale per i minorenni de L’Aquila, dopo aver svolto un’attività istruttoria sommaria, peraltro in parte già smentita dal Ministero della Pubblica Istruzione, abbia disposto l’allontanamento dei tre bambini anglo – australiani da genitori affettuosi e accudenti e li abbia collocati in una casa- famiglia, così strappandoli da un contesto di vita felice e persino idilliaco.
Quindi, per seguire il ragionamento del tribunale per i minorenni, con lo scopo di scongiurare il pericolo di un pregiudizio puramente ipotetico ed ancora da verificare, i bambini sono stati costretti a subire un danno certo, forse più grave, rappresentato dal trauma causato dalla separazione dai genitori.
Una decisione che, inevitabilmente, si scontra con il principio di tutela della famiglia “come società naturale fondata sul matrimonio”, quanto con quello che sancisce “il dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli”.
L’enorme eco mediatica riservata al caso giudiziario, si ripete tutt’altro che raro, si spera allora sia utile affinché gli operatori dei Sevizi Sociali, i Magistrati della Procura e del Tribunale, s’interroghino in futuro e in relazione alle migliaia di procedimenti in corso, su tale questione:
sino a qual punto un provvedimento quale quello in esame, può ritenersi realmente necessario e pienamente rispondente all’interesse di tutelare l’integrità psicofisica dei minori?
Per provare a fornire una risposta qualificata ci siamo rivolti al noto psichiatra e psicoterapeuta Danilo Montinaro, già dirigente medico presso la Asl di Chieti, con un importante “curriculum” di C.T.U. e perito nominato dai Tribunali.
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Dottor Montinaro, quali possono esser le conseguenze e i danni arrecati ad un minore in tenera età dall’allontanamento improvviso dai genitori?
Vorrei sottolineare in primis che qualsiasi intervento fatto dai tribunali dovrebbe essere accompagnato anche da una presa visione diretta da parte dei giudici che andranno ad emanare il provvedimento, cioè una visione diretta che permetterebbe al magistrato di farsi una propria opinione al di fuori dei verbali o relazioni dei servizi sociali dei comuni o asl.
Tornando alla domanda possiamo dire è un gesto comunque atroce, quello di allontanare i figli dai genitori. Ma a volte si rende necessario per il bene del bambino soprattutto se l’ambiente familiare non è adeguato, se è a rischio di violenza, se la sua educazione può essere compromessa dal modo di vita dei genitori, oppure se non c’è la garanzia di far crescere il bambino in modo equilibrato anche da un punto di vista psicologico. Certamente si può inserire ed evidenziarsi nel bambino una ansia da separazione caratterizzata da paura, pianto, capricci, che può portare a comportamenti incongrui, regressivi con difficoltà di inserimento nella casa-famiglia o nella scuola.
I Tribunali ricorrono, con sempre maggiore frequenza all’ausilio di consulenze di tipo puramente psicologico per valutare le capacità genitoriali: qual è il valore scientifico di tali accertamenti e il grado di affidabilità?
Ci sono numerosi test per analizzare la personalità, l'equilibrio emotivo e le capacità relazionali di un genitore, con l'obiettivo di comprendere se sia in grado di soddisfare i bisogni di un minore. Non esiste però un test unico che ci dice tutto, ma dobbiamo utilizzare diverse procedure che includono colloqui, osservazione delle dinamiche familiari, e test specifici come il MMPI -(per tratti di personalità e disturbi psicologici),Rorschach test  (per l'elaborazione emotiva), il Parental competences test TKT o il classico il test del disegno della famiglia  (per la percezione del nucleo familiare)
Il regime degli incontri protetti può determinare o contribuire ad alienare il rapporto tra genitore e figlio? Quando dovrebbero esser disposti e per quale durata?
Gli incontri protetti sono incontri supervisionati tra un genitore e i figli, effettuati in uno "spazio neutro" per garantire il benessere del minore in situazioni di conflitto familiare, separazioni conflittuali, o per proteggere il bambino da eventuali pericoli. Sono solitamente disposti da un tribunale o dai servizi sociali e gestiti da professionisti qualificati che osservano, supportano e relazionano. L'obiettivo è quello di sostenere e proteggere da una parte la relazione genitore-figlio, riducendo le tensioni e dall’altra favorire la comunicazione e il dialogo tra loro.
Infine per quanto riguarda la durata di questi incontri essi variano dalle risposte positive o negative che si evidenziano durante gli incontri.
Ma, se l’allontanamento dei figli dai genitori rappresenta “un gesto comunque atroce”, la questione su cui dovrebbe concentrarsi il dibattito è allora relativa ai limiti entro i quali può essere giustificato un intervento dello Stato nelle scelte di vita dei cittadini e delle loro famiglie.
Un intervento che, eseguito tramite strumenti invasivi e potenzialmente traumatizzanti, non dovrebbe in ogni caso tradursi nella violazione dei principi sanciti dall’art. 30 della Costituzione.
Per tornare, allora, al caso giudiziario in esame, nel testo del provvedimento del tribunale per i minorenni de L’Aquila, emerge quale principale motivazione della severa decisine assunta, il riferimento all’art 2 della Costituzione, ovvero la presunta carenza di relazioni sociali che avrebbe caratterizzato la vita dei tre minori.
Orbene, anche a non voler credere ai genitori che hanno negano di aver scelto un isolamento assoluto e sostengono di avere garantito che i figli potessero coltivare relazioni con i coetanei, non convince il fatto che il tribunale abbia fondato la grave decisione prevalentemente sulla base della presunta violazione del principio sancito dall’art. 2 che non può certo essere ritenuto prevalente su quello di cui all’articolo 30 che, come si è ricordato, sancisce il diritto-dovere dei genitori al mantenimento e alla educazione dei figli.
Vincenzo di Nanna