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AmorevirusCorreva l’anno 2020, il mese era marzo e noi, quelli di allora, da allora non saremmo stati più gli stessi.

Nei mesi addietro la tv ci mostrava le immagini di ciò che stava accadendo in Cina, immagini talmente drammatiche da sembrare appartenere ad un altro mondo ed un’altra epoca, noi Italiani avevamo letto la peste raccontata dal Manzoni, noi non potevamo dar troppo credito a quella che in cuor nostro, forse, speravamo fosse solo una “ cineseria”; commentavamo “ poveretti”, non potevamo, allora, immaginare che da lì a breve saremmo entrati nella nostra “ terza guerra mondiale”.

Ero in Germania, lo ricordo bene, la signorina del tiggi annunciò il “ primo caso italiano”… rimasi qualche secondo in silenzio e il silenzio si ruppe con il mio “ sta arrivando, non siamo pronti noi medici, non siamo pronti noi italiani”.

In realtà non sapevo ancora bene cosa stesse arrivando, il nemico era un virus, un parassita delle cellule, talmente piccolo da poter viaggiare indisturbato, a passo felpato, insinuandosi ovunque e oggi, posso dirlo, soprattutto nei nostri cuori, nei nostri modi di vivere “l’amore”.

Il nemico rientrando in Italia, all’aeroporto, indossava i panni dell’esercito che ci misurò la temperatura, in qualche modo si pensava di doverlo fermare alla dogana a suon di termometri puntati… tra il riso e il pianto feci il viaggio di ritorno sapendo che stava per accadere qualcosa di terribile.

A marzo le prime chiusure, poi venne il lockdown, quello totale, quello delle città deserte, quello delle pattuglie a chiederti “ dove vai”, delle autocertificazioni che cambiavano ogni giorno, classico di quando non ci stai capendo un cazzo, ma qualcosa lo fai, tanto per far vedere.

Non dimenticherò mai una scena, si tentennava tra attività fisica all’aperto si e attività fisica all’aperto no… vinse il no, tutti a casa, si esce solo per andare dal medico o a fare la spesa o a lavorare ( se il tuo lavoro era uno di quelli “ che rimanevano aperti”)… il mio lavoro ovviamente “ rimaneva aperto”, facevo la strada senza nemmeno accendere la radio, c’erano dei giorni in cui non incrociavo nemmeno una macchina e quel giorno in particolare pioveva a dirotto, percorrevo il lungomare, deserto, morto, inimmaginabile, vedevo però una figura da lontano, era una ragazza sola, minuta ed inerme, che correva sotto la pioggia, avvolta nei suoi tessuti tecnici e impermeabili, immagino volesse sentire la “ vita” in quella corsa… si avvicinò una pattuglia, scesero in due e le intimarono, lo sentii perché mi ero fermata ,“ va-da su-bi-to – a-ca-sa! Ripeto, va-da su-bi-to-a-ca-sa!”, sentii le lacrime bagnarmi il viso, impiegai qualche minuto a rimettermi in moto, all’ improvviso avevamo perso la nostra libertà.

L’ Ospedale sembrava un paesaggio lunare, non entrava nessuno, a parte chi stava davvero male, avevano paura, l’Ospedale era il luogo sporco, l’untore, in Ospedale si moriva.

Il Sistema Sanitario Nazionale fu colto, era prevedibile, del tutto impreparato, noi non avevamo nemmeno le mascherine all’inizio, avevamo paura di tutto, di lavorare e soprattutto di tornare a casa, terrorizzati all’idea di riportare a casa il “ mostro”, evitavamo i parenti, soprattutto se anziani, forse, noi operatori sanitari, siamo stati i più soli in questa pandemia… però ci siamo stati e sono fiera di noi e all’inizio ci avete cantato sui balconi, solo all’inizio però eh.

Non voglio ricordare i cortei delle bare, non voglio ricordare l’appuntamento serale con la protezione civile, non voglio ricordare le file al supermercato come alla mensa dei poveri, non c’è bisogno che ve lo ricordi io quel periodo in cui l’unico sentimento era la paura, in cui ci siamo disabituati ad amare, almeno nel “ metodo classico”.

Il virus ci ha allontanati, ma forse lui non sapeva che noi siamo Italiani, quelli del “volemose bene”e del caffè con due cucchiai di smancerie.

Vai un po’ a togliere ad un italiano una stretta di mano, i bacetti di saluto, un abbraccio e una pacca sulla spalla… li abbiamo sostituti con “ gomitate e colpo di nocche” , pur di toccarci

, pur di poter ancora in qualche maniera amare.

Il virus ci ha tolto la gita fuori porta, la domenica al ristorante e il seratone del sabato sera… ah, a noi Italiani piaceva anche ballare, ora non dico come ai brasiliani, ma insomma, ci siamo capiti e  a ballare ancora non ci possiamo andare… forse lo abbiamo fatto nelle solitudini delle nostre case, per passare il tempo, tra una panificazione e l’altra… siamo diventati fornai , io no eh lo ammetto al massimo sono diventata esperta in “ fetenti zuppe” alla Don Biffero, abbiamo pianto tanto, ne sono certa, per i nostri morti, ma soprattutto per le nostre anime sole, e un’anima quando è sola piange, l’anima di un italiano poi non ne parliamo.

Abbiamo fatto le video chiamate ai parenti, agli amici e ai fidanzati, anzi i fidanzati probabilmente hanno fatto il “ videoamore”, poveretti a non potersi nemmeno sfiorare…

Ci ha coperto il sorriso il virus, obbligandoci alle mascherine e quando togli il sorriso a una persona ti devi solo vergognare!

Poi siamo tornati ad una pseudo-normalità, ma pseudo pseudo, perché ancora oggi per strada non ci abbracciamo e chi lo sa se questo virus o forse  il vaccino che la fruttivendola ha detto che pare cambi il codice genetico , torneremo mai a farlo.

Virus, mio caro virus, da ovunque tu provenga, di chiunque “ tu si lu fije” , sappi che hai fatto un gran casino, perché non ci hai ammazzato solo fratelli amici e genitori, no, caro virus ,tu ci hai tolto la possibilità di amare come eravamo abituati a fare… e questa gomitata che ora vuoi farmi credere sia “ il nuovo abbraccio” sappi che io la rifiuto, la do a te una gomitata parassita dei miei stivali, perché non è stato nemmeno romantico come quando Marquez romanzava l’amore ai tempi del colera, è stato ed è, misero parassita, solo drammatico…

Non pensavo come Candido di abitare il migliore dei mondi possibili, ma questo davvero è troppo.

Pangloss talvolta diceva a Candido: “In questo migliore dei mondi possibili, tutti i fatti son connessi fra loro. Tanto è vero che se voi non foste stato scacciato a gran calci nel sedere da un bel castello, per amor di madamigella Cunegonda, se non foste capitato sotto l’Inquisizione, se non aveste corso l’America a piedi, se non aveste infilzato il Barone, se non aveste perso tutte le pecore del bel paese di Eldorado, voi ora non sareste qui a mangiar cedri canditi e pistacchi”.

Cosi te lo giuro perché ci credo, noi torneremo , un giorno, quelli che eravamo e torneremo ad abbracciarci senza paura… siamo italiani caro virus, e noi il romanticismo ce lo abbiamo nel sangue, come la pizza, che ora in tanti, grazie a te, almeno questo,sanno anche fare.

ALESSIA DI FERDINANDO