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CORALE: SETTIMANALE DI RICERCA SULLA POESIA ITALIANA CONTEPORANEA

Poeta: FRANÇOIS NÉDEL ATÈRRE (al secolo FRANCESCO TERRACCIANO)

estratto da "Limite del vero" di François Nédel Atèrre, (La Vita Felice 2019)

 *

Del tempo in croce conosco la carta

vuota lasciata a terra, i chiodi storti

nel muro, i buchi, qualche ramo secco.

Insetti, a volte, con le zampe all’aria.

L’altro del viaggio è quello che rimane

di luce in fondo agli occhi, la distesa

d’acqua dove si specchiano le rocce

ferme e si fanno gioco delle navi.

CORALE: SETTIMANALE DI RICERCA SULLA POESIA ITALIANA CONTEPORANEA

Poeta: FRANÇOIS NÉDEL ATÈRRE (al secolo FRANCESCO TERRACCIANO)

estratto da "Limite del vero" di François Nédel Atèrre, (La Vita Felice 2019)

 

*

Del tempo in croce conosco la carta

vuota lasciata a terra, i chiodi storti

nel muro, i buchi, qualche ramo secco.

Insetti, a volte, con le zampe all’aria.

L’altro del viaggio è quello che rimane

di luce in fondo agli occhi, la distesa

d’acqua dove si specchiano le rocce

ferme e si fanno gioco delle navi.

Si porta quello che abbiamo. Più avanti

avremo stanze dove fare tardi.

 

NOTA DI LETTURA

Quando ho letto le poesie di Francesco Terracciano, che simpaticamente “francesizza” il suo proprio nome in François Nédel Atèrre, ho visualizzato da subito – momento aureo che marca una buona poesia – uno scalpello che, con la sua punta a taglio, incideva su pietra bianca, una pietra povera, comune, come sono comuni gli strumenti del poeta; pietra che arriva direttamente dal letto del fiume della nostra letteratura, levigata da quell’acqua e scaldata da quel sole; scalpello che, scheggia dopo scheggia, faceva spazio nella pietra alle lettere, alle parole, ai versi di Francesco Terracciano, che sono netti, chiusi e spigolosi perché ripuliti dal troppo e dalla polvere dell’inutile prosastico che ricopre molta nostra poesia contemporanea.

Difatti, se ci avviciniamo a guardare le parole del Terracciano, come direbbe Gianfranco Lauretano, troviamo impresse in esse delle immagini lampanti, che brillano di segno e di suono, che riportano chiare quello che il poeta dice, senza sconti o cedimenti sentimentali ma ben chiuso dentro il sentire, pur rimanendo profondamente lirico.

La poesia di François Nédel Atèrre è quanto mai concreta, perché dall’esperienza si fa oggetto che racchiude in sé altri oggetti; perché, appunto, è scultura di significato, significante e senso.

MASSIMO RIDOLFI

ASCOLTA QUI I VERSI: https://youtube.com/shorts/HqFunknXXLM?feature=share .

Si porta quello che abbiamo. Più avanti

avremo stanze dove fare tardi.

 

NOTA DI LETTURA

Quando ho letto le poesie di Francesco Terracciano, che simpaticamente “francesizza” il suo proprio nome in François Nédel Atèrre, ho visualizzato da subito – momento aureo che marca una buona poesia – uno scalpello che, con la sua punta a taglio, incideva su pietra bianca, una pietra povera, comune, come sono comuni gli strumenti del poeta; pietra che arriva direttamente dal letto del fiume della nostra letteratura, levigata da quell’acqua e scaldata da quel sole; scalpello che, scheggia dopo scheggia, faceva spazio nella pietra alle lettere, alle parole, ai versi di Francesco Terracciano, che sono netti, chiusi e spigolosi perché ripuliti dal troppo e dalla polvere dell’inutile prosastico che ricopre molta nostra poesia contemporanea.

Difatti, se ci avviciniamo a guardare le parole del Terracciano, come direbbe Gianfranco Lauretano, troviamo impresse in esse delle immagini lampanti, che brillano di segno e di suono, che riportano chiare quello che il poeta dice, senza sconti o cedimenti sentimentali ma ben chiuso dentro il sentire, pur rimanendo profondamente lirico.

La poesia di François Nédel Atèrre è quanto mai concreta, perché dall’esperienza si fa oggetto che racchiude in sé altri oggetti; perché, appunto, è scultura di significato, significante e senso.

MASSIMO RIDOLFI

ASCOLTA QUI I VERSI: https://youtube.com/shorts/HqFunknXXLM?feature=share .