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CORALE:
SETTIMANALE DI RICERCA SULLA POESIA ITALIANA CONTEPORANEA

Poeta: BARBARA GIULIANI

da "parlerai dei cespugli che s'imbiancano" di Barbara Giuliani, in "Distanze Obliterate - Generazioni di poesie sulla Rete" (Puntoacapo 2021)

 

PARLERAI DEI CESPUGLI CHE S’IMBIANCANO

non abbiamo mai parlato delle rape,                                                                                                                                

i nostri lutti casalinghi si sono risolti di domenica, frettolosamente,

tra gli anticipi della serie A e i dodici piatti fondi sporchi di lasagna,

ma le rape in tutto questo non le abbiamo mai considerate.

io avrei voluto dirti delle rape, del loro colore, verde marmocchio,

pantone indefinito, buste di plastica inquinanti, le contaminazioni da tensioattivi,

le posture sbagliate e gli occhiali scesi sul naso per mettere sul fuoco

quello che non s’incendia nel nostro dire.

io avrei voluto cucinarti le rape, fotografarle, impiattarle e

renderle dignitose, come i nostri cognomi sul citofono, vicini

non uno sopra l’altro o sotto l’altro,

attaccati separati da un

-

non ho comprato le rape, non sono uscita, sono rimasta in casa

a dondolare la testa davanti all’orologio della cucina, tutta la mattina,

in piedi, ritta come un fuso con le ciabatte di due numeri più grandi,

i capelli raccolti alla peggio bene e in mano una cipolla andata a male.

puzza questa stanza tanto

che non vomito per esaurimento, la batteria del montatore del latte è esplosa

e qui sembra di stare in orbita senza tuta stellare.

cola dal tavolo il latte smontato e

siamo la sostanza più leggera degli elementi solidi dopo il litio e

con una g stretta tra il pollice e l’indice della mano con cui ti guardo

litigo con una applicazione per comprare le rape.

ma tu le vuoi le rape?

altrimenti scendiamo a pisciare il cane.

 

NOTA DI LETTURA

Dedico questa mia nota ad Alessandro Zan ora,

perché solo con coraggio si Vive ognora,

quando solo con vigliaccheria si muore ognora.

 

Se è vero come è vero che l’artista è quell’umano dotato di particolari capacità di visualizzazione e di descrizione, allora ogni scrittura “fantasiosa” è da considerarsi assolutamente autentica perché aderente al suo autore, molto più dei cosiddetti testi di “autofiction” o di “docufiction” o di “docudrama” e scemenze simili: lo scrittore – e il poeta, che si sappia finalmente, è uno scrittore, quindi è una ulteriore scemenza definire gli stessi come “poeta e scrittore”; quindi o poeta o scrittore, sostantivi che da soli sono più che sufficienti per definirlo come autore letterario –  non può certo amputarsi un braccio o darsi ad altre estreme forme di autolesionismo per descriverne gli effetti, ma può e deve immaginarle più vere ma mai verità: la fantasia è artistica, non altro.

E così arriviamo alla poesia di Barbara Giuliani – che propone testi inclusi nella recente antologia collettiva “Distanze Obliterate - Generazioni di poesie sulla Rete”, Puntoacapo, 2021, con la curatela di Lelio Demichelis, Alessandra Corbetta e Alessia Bronico per i tipi di “Alma Poesia”, lavoro apprezzabile almeno per due aspetti: 1° non rinuncia alla realtà, quindi a questo nostro nuovo mondo digitale; 2° si affranca e si mette al riparo dalle solite “compagnie di giro” – rare ormai anche in teatro –, che assorbe e omogeneizza in una azione inclusiva, dove si rinuncia saggiamente a inutili distinzioni anagrafiche dei poeti raccolti, se non per motivi meramente filologici; e la presenza di Barbara Giuliani tra gli autori antologizzati, ne è forse la prova più lampante dell’onestà intellettuale che ha partorito tale pubblicazione –, che naturalmente assume nei suoi testi tutti i rischi di quanto testé affermato a proposito di fantasia, dimostrando di sapere – come può saperlo un poeta, cioè non sapendo di sapere ma per naturale predisposizione all’ascolto: mi ripeto pur sapendo di ripetermi perché non è mai abbastanza chiarire nel ribadire questo concetto – che l’artista non è altro che uno scopritore di cose che c’erano già ma di cui nessuno prima si era accorto – con quella voce e con quelle tonalità e colori in poesia –; e che per questo l’artista non inventa mai nulla di nuovo, e che, sempre dalla tradizione, rinnova, sempre in avanguardia; e che l’artista sa coltivare l’errore, osservarlo da vicino con meraviglia, perché è proprio lì, nell’imperfezione, che risiede disponibile La Lezione Suprema che rende diversi, che salva.

Quello della Giuliani è un verso fortemente ritmico – ricchezza invidiabile e tutta maturata nel poetry slam –, divertente e divertito che gioca con l’inversione di termine dentro il paradosso, che scopre immagini critiche della società contemporanea, domestica e pubblica; figurazioni mai appesantite da concetti programmatici ma che sono sempre genuine scaturigini dell’esperienza diretta delle cose: l’unica cosa che la Poesia, l’Arte,  non può concedersi è la noia, proprio quella che invece praticano certi altri giovani poeti italiani, che mandano tuttora avanti una tradizionale opera di piaggeria verso vegliardi scrittori di versi – non poeti –, addirittura persino più noiosi di questi; quando invece la Poesia, l’Arte, deve lasciare al suo compimento l’uomo acceso e mai addormentato, addomesticato, consolato, altrimenti non c’è Poesia e non ci può essere alcuna Arte, e non è possibile alcuna deroga a questo assunto, che deve essere più sentito che scritto.

Che ci si preoccupi invece di curare i propri talenti, e che non si spendano energie in altro che questo, sempre che avanzasse del tempo alla pratica amorosa, che è l’Arte per eccellenza, che è la Vita vivente, che nessuna fantasia è in grado di immaginare se non con risultati ridicoli, risibili, onanistici; e che si smetta di confondere il fare del creare, del dare forma artistica al proprio e comune sentire, con il compitino in classe, e con la ruminazione di vecchi concetti, stantii, che in Arte nessuno è capace di dare voti o di laureare: non si è artista ma si fa l’artista, e nulla giova più all’anima e al corpo che il nuovo.

Che si faccia invece come Barbara Giuliani, che diverte uscendo fuori dal , perché l’Arte, in qualsiasi disciplina si esprima, è un linguaggio votato al dire, che dice sempre qualcosa all’altro senza bisogno di chiedere ascolto; e le parole in Poesia devono essere oggetti di uso comune perché più semplici da donare, di cui si perde ogni diritto di proprietà non appena sono scritte, perché “le parole non si dicono, si dànno”, come ci insegna, dimenticato, Vincenzo Cardarelli (1887 – 1959), per riuscire così a scrivere con successo, ad esempio, persino di “rape, fotografarle, impiattarle e renderle dignitose”.

MASSIMO RIDOLFI

ASCOLTA QUI I VERSI: https://youtu.be/nGWMXmZRCOA .