CORALE: SETTIMANALE DI RICERCA SULLA POESIA ITALIANA CONTEPORANEA
Poeta: DIMITRI MILLERI
da particŭla "V" di Dimitri Milleri, in "Sistemi" (Interno Poesia 2020)
SISTEMI, V
La mano che dipinge questi luoghi
conosce pochi tratti e si ripete:
vecchi liquefatti
per ore alla TV,
insetti che si ostinano
dorati contro il vetro,
vite che bruciano svelte.
Chi si è tirato fuori
ha il corpo invaso dal sudore
e trema forte.
Chi si è salvato è come un dio distante
che chiede troppo.
NOTA DI LETTURA
Arrivati a questo punto credo sia utile chiarire un fatto dello scrivere in versi fondativo, imprescindibile e vero motivo di questa ricerca – che non vorrebbe mai essere un’altra “mostra di libri”, perché la fanno già in tanti, bene o male che sia –, se solo si volesse, scrivendo, sperare la Poesia, aspirare a esserne soffiati e da questa spinta lasciarsi condurre, fino a tramutarsi in umile pescatore imbarcatosi a servizio di un sacro liuto; e questo fatto in poesia è il ritmo e può essere precisato solo nel testo e mai, in seguito, dalla lettura; lettura di poesia che non può essere altro che una riproduzione fonica del testo così come è stato scritto, vale a dire che è del tutto inutile aggiungere poi a voce accorgimenti ritmici che nel testo originale non sono stati segnati dal poeta; cioè cercare di correggere in questo modo quello che non è poesia ma, evidentemente, prosa, magari mandata incautamente accapo: per questo la critica in poesia non può che partire dalla lettura a voce del testo del quale si intende scrivere, unico esperimento utile a distinguerlo come tale; per esser ancora più chiari: si ci accorge solo leggendo a voce che i fiori sono poesia e gli spleen prosa.
La lettura di poesia deve perciò essere piana e detta come se le lettere fossero – sono – note musicali segnate al pentagramma: questo si intende – e si deve intendere – quando si dice che la poesia è musica, perché la scrittura in versi, se è tale, permette alle parole di risuonare attraverso la voce umana, lo strumento musicale eccellente, primario, e senza bisogno di cantarle.
Solo questo discerne quello che è poesia dalla prosa; nient’altro che questo aspetto tecnico di composizione – e non a caso scrivo composizione: si sta indagando qui quanto tutto questo sia ancora presente nella scrittura in versi prodotta oggi in Italia, e non certo per distribuire allori e stilare classifiche, perché gli allori, irrimediabilmente, poi seccano immiseriti, e le classifiche sono sempre superficiali e scadono al massimo dentro un giorno: per questo ogni contributo viene qui assorbito sempre come fondamentale, prezioso.
Come non è certo a caso che oggi propongo Dimitri Milleri, giovane poeta e musicista, e il suo registrare fatti sulla pagina bianca con l’esperienza del pentagramma, offrendoci musica per voce sola; e a questa voce dona occhi per vedere l’interno e l’esterno del vivere degli uomini, del circolare esistere di ognuno, salvandosi così dalla imperversante scolarizzazione della poesia italiana contemporanea, rimanendo grazie a questo vivo; dimostrando nel suo scrivere – come suggerisce Maria Borio – una intelligenza della vita, perché non ferma la sua attenzione solo sulla materia letteraria ma che tutto osserva, e dal tutto sa trarre insegnamento, perché “ha coscienza”, evidentemente, che uno scrittore deve incuriosirsi di tutto quello che lo circonda, soprattutto di quello che potrebbe, in superficie, apparire superfluo, da cui scaturire invece la scoperta e mai l’invenzione, che in arte nulla si inventa ma tutto si svela; in Arte si svela il già fatto: Leonardo Sinisgalli (1908 – 1981) insegna, meglio di quanto si possa fare qui e ora, che il poeta è innanzitutto uno strumento della natura che possiede l’intelligenza del corpo, e lo scrivere di Milleri è dentro questa insuperabile Lezione, anche a non saperla.
E quindi con Dimitri Milleri possiamo ascoltare dalla voce umana un canto asciutto, chiaro, che non cade mai nella commiserazione, o nella “postura da autoflagellanti” – queste sono sue parole –, atteggiamento che ancora insiste e che, purtroppo, ha fatto gran parte della nostra peggiore poesia contemporanea degli ultimi quarant’anni, che, ahimè!, è oggi assunta come scuola; scuola di lagnosi “nani” letterari però, promulgatrice di una scrittura patologica, maestri di uno scrivere da mollaccioni, di una non poesia sempre compiaciuta e consolatoria – quindi non Poesia –, quando invece è solo il seme del cinismo che salva lo scrittore, che fa Letteratura.
MASSIMO RIDOLFI
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