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a74706d0-6265-4cc6-be37-fc63507c825d.JPGCORALESETTIMANALE DI RICERCA SULLA POESIA ITALIANA CONTEMPORANEA

Nel pomeriggio di ieri (lunedì 10 luglio, N.d.R.) Antonio Alleva mi ha informato della morte di Umberto Simone (1949-2023): Simone era da tempo malato ma la Morte ci sorprende sempre, eppure ci cammina accanto per tutta la Vita.

È grazie ad Alleva che ho potuto incontrare l'opera di questo davvero straordinario poeta italiano e del mondo, e l'occasione si è presentata con il licenziamento del suo prossimo libro, Turisti nella luce, per il quale preparai questo mio intervento già il 6 giugno scorso.

Ma gli artisti godono di una forma particolare di eternità terrena perché permangono nell'opera, capace di resuscitarli ogni volta che la si riscopre.

L'Arte è importante perché serve all'uomo di oggi e di sempre, unica utile cura alla conservazione della memoria di questo passaggio che solo lì davvero resta, nell'opera d'arte.

La Poesia è delle arti la più prossima all'uomo perché riesce a farsi accanto agli uomini anche quando gli strumenti di lavoro appaiono i più umili, rotti, inservibili: la Poesia ci rende capaci di un altissimo ascolto, che si ha come la sensazione che oltre non ci sia più nulla, e queste altezze presentava all'animo attento di Umberto Simone, Poesia che resta qui con noi a testimoniarlo.

m.r.

Poeta: UMBERTO SIMONE

da “Un ordine del Veglio” di Umberto Simone, un testo in anteprima da “Turisti nella luce” (di prossima pubblicazione)

UN ORDINE DEL VEGLIO

Un ordine del Veglio della Montagna, sussurrato appena,                                                                                   

e il giovane Assassino scosta la zanzariera                                                                                                            

e sorridendo accetta quel pugnale che, desto, brilla come                                                                                    

una selce del Delta al calo della piena. Poi, paese 

lo dà a paese, regno a regno; a ogni stazione                                                                                                  

trova ostesse materne e cambio di cavalli;                                                                                                            

con jeans immacolati pur senza guado passa, con stivali                                                                                                    

lucidi pur senza sentiero viene;

pur senza fretta, sciolto, dinoccolato, arriva;                                                                                                                   

fra quercia e quercia appare ai taglialegna dell’ultimo bosco -                                                                                  

lungo l’ultimo ponte incrocia il carro dei comici -e il cieco                                                                              

fermo all’ultimo bivio ne avverte i tacchi sopra i rovi secchi. 

Cremisi d’occidente strapiomba per la valle addosso al campo.                                                            

Qualcosa sta accadendo, ma la segale è alta e lo nasconde.

NOTA DI LETTURA

«Che vuol ch’io faccia del suo latinorum1

Renzo a don Abbondio

Se la poesia non si “capisce”, vuol dire che non è poesia e che il poeta che l’ha scritta non è un poeta – ho così considerato utile ripetermi. La poesia è invece un’arte popolare che mira alla semplicità: è nelle cose semplici che sta tutto il difficile da farsi.  

Ogni volta che il lettore è costretto a prendere il vocabolario per poter comprendere un testo letterario, cioè d'arte, marca indelebilmente il fallimento dello scrittore. Il poeta, semmai, sorveglia la lingua e la rinnova, e ciò significa rendersi più comprensibile. Questo può farlo. Mentre la complicanza e il desueto non sono poetici mai, e formano, al massimo, basso manierismo. Vale a dire una cosa assai triste. Le parole, soprattutto in poesia, sono utili solo quando sono votate alla esatta, nitida riproduzione delle immagini dell’esperienza, quindi senza alcun bisogno di traduzione. Quando il testo di poesia non fa questo, la parola è tradita e si fa inutile.

Quando si parla di “lavoro sulla parola si può intendere solo quella attenzione che l’autore dedica ai suoi testi affinché tutto quello che ci è scritto sia più comprensibile possibile all’animo umano, superando così qualsivoglia barriera culturale, soprattutto quelle di natura economica e sociale: per ingiustizia sociale deve intendersi principalmente ingiustizia economica.

Ma quando è Verapoesia si fa da sola, superando agilmente tutto questo, rivelandosi al lettore come cosa conosciuta che non sapeva di sapere.

Il poeta, se è tale, autentico, muove poco, o proprio niente.

La complessità non ha nulla a che fare con l'arte. Allora è da escludere ogni discorso che predichi la complessità dell’arte. L'intellettualismo è la negazione di qualsiasi forma, linguaggio d'arte. L’intellettualismo è scolastico. L'arte è invece sublimazione della realtà, quindi semplificazione dei concetti. Il difficile è nel semplice. La stupidità, invece, è sempre una cosa molto complicata.

Anche la superficialità non ha nulla a che fare con l'arte, proprio come la complessità.

La semplificazione e la superficialità non sono quindi sinonimi, e credo che questo sia chiaro; credo che sia chiaro che quando scrivo “semplice” non intendo dire superficiale – usando questo aggettivo io intendo invocare la sintesi.

E allora mi giungono a proposito e in soccorso i testi di Umberto Simone, che sanno sintetizzare con naturalezza, nel difficile farsi delle cose semplici, quanto fin qui detto, perché poeta capace dell’intelligente leggerezza del sapere che si manifesta dentro un dettato sempre comprensibile (si intende qui dire che ci comprende, che di riguarda, che sa di noi, che ci include in ogni suo scritto, perciò non ha bisogno di traduzioni), eppure molto originale e assolutamente distinguibile perché stratificatosi in un racconto musicato millenario, che non sappiamo di sapere, che non ha davvero nulla a che fare con l’astrusità e con un certo intimismo tuttora in voga; il suo è un dire che si scioglie nel pensiero, che dolcemente ci rende consapevoli del prima di noi (del prima che ha preceduto la lettura di Umberto Simone, direi), che ci forma per affrontare criticamente il davvero nuovo, e così riconoscerlo senza correre più il rischio di cadere preda di incantamenti.

MASSIMO RIDOLFI

1. I Promessi Sposi, Alessandro Manzoni (1785-1873), Capitolo II, Mondadori, 2019, p.48 [N.d.R.].

ASCOLTA QUI I VERSI:https://youtu.be/8L40eKZ0lK8 .