CORALE: SETTIMANALE DI RICERCA SULLA POESIA ITALIANA CONTEMPORANEA
Poeta: MANUELA MORI
particŭla da "La matrice della terra" di Manuela Mori (Sigismundus 2016)
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Diceva Emmanuel
certe cose si nascondono e poi piangono
per anni.
Poi un girono ti balzano contro
come morti stecchiti dalle bare.
Tornassi almeno benedicente padre
come anche t’ho conosciuto, invece
torna solo il rimprovero muto
e il mio amore malato.
Ora lo so.
Non me odiavi ma in me i tuoi peccati.
Certe cose non si possono dire.
Se l’anima si scioglie, il mondo muore.
NOTA DI LETTURA
a Tommaso Di Dio, ringraziandolo della sua inutile antologia, scolastica e d’amici.
Ahi! Ahi! ragazzi miei, che vi improvvisate in falsi modi mondi, cose mai viste dite, e vi perdete la Lezione, da questa parte del non detto, dall’affaccio certo incerto della vita, sempre da scoprire nuova nel nuovo, fatto che il vostro rimuginio (e le vostre davvero troppe spiegazioni) e il vostro guardo esclude.
Le poesie, si è già detto mi pare da queste parti, devono immancabilmente portare all’uomo una notizia che possa comprendere; e che non sia mai di un fatto accertato ma che richieda invece ulteriori approfondimenti per essere meglio interpretato: per interpretazione si vuole qui intendere rivissuto.
La poesia può essere utile (anche) per parlare con i morti, certo, ma rinunciando al piagnisteo, al falsante malinconico; la poesia serve per dire questo fatto della morte pure, quindi ha bisogno di un interlocutore, di un indirizzo sicuro al quale spedirlo questo dire a chi è già dentro il dono della morte, come fa bene Manuela Mori, che scrivendo a suo padre dice dei molti padri che abbiamo avuto, e ci racconta questo padre ponendosi naturalmente fuori dell’io lirico così da non aver bisogno di spiegarci nulla; certo ponendosi da questo affaccio della vita verso dove non sappiamo ma speriamo sia ancora possibile in altra forma, magari più leggera e senza più nulla da scrivere, il vivere.
MASSIMO RIDOLFI
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