Leggere l’oggi alla luce di quello che è avvenuto ieri è ciò che fa chi considera la realtà, anche quella sociale, economica e politica, come un flusso e quindi trova nell’oggi le tracce dello ieri e gli indizi del domani. E’ così che si trova la conferma che nella storia di una città gli anni, e spesso i decenni, sono come i giorni e che l’attualità è radicata nel passato e spesso ad esso assai simile. Oggi ci si lamenta molto delle condizioni igieniche delle strade e delle piazze di Teramo, si fotografano rifiuti sparsi per strada e ci si scandalizza che, nonostante le salatissime imposte, la “nettezza urbana”, così si chiamava una volta, sia assai scarsa. Proprio per protestare contro la scarsa pulizia delle strade di Teramo venne costituito, sul finire del lontano (?) 1955, un comitato di cittadini, con l’obiettivo di esercitare pressioni sull’amministrazione comunale affinché avviasse la soluzione del problema, ritenuto assai pressante.
Contro la costituzione del comitato prese una ferma posizione un assessore, il repubblicano Nicola Marchegiani, il quale, in una lettera pubblicata martedì 3 gennaio 1956 sulla pagina teramana de “Il Tempo”, (in un articolo intitolato “L’industrializzazione della città non è più un traguardo chimerico”), esprimeva la sua meraviglia per l’iniziativa, giudicata del tutto inopportuna. I cittadini, invece di costituire un comitato, scriveva, avrebbero dovuto recarsi in Comune e si sarebbero resi conto delle tante difficoltà con le quali gli amministratori avevano a che fare, con un bilancio tutt’altro che florido. Il vero problema di Teramo, sosteneva l’assessore, era quello di aumentare e incrementare il reddito pro capite, di eliminare la disoccupazione e la sottoccupazione, elevare il tenore di vita e accorciare la lista dei poveri. Se non altro, aggiungeva, l’amministrazione aveva il merito, incontestabile, di “aver sfondato il muro delle apatie, dei gretti conservatorismi, delle resistenze degli scettici e dei malevoli, di aver saputo convogliare a Teramo energie e possibilità sempre respinte nel passato remoto e recente”.
Se i teramani, diceva l’assessore Marchegiani, avessero avuto fiducia e fermezza, entro cinque anni l’industrializzazione non sarebbe stata più solo una semplice chimera, ma una realtà viva ed operante. Sorprende ancora oggi il volo, quasi pindarico, con il quale l’assessore passava dall’argomento della “nettezza urbana” a quello dell’industrializzazione come vocazione e aspirazione ritenuta necessaria per una città come Teramo. Ma non mancava, né poteva mancare, un riferimento alla non gradita reazione di “taluni pochi cittadini” che avevano criticato il provvedimento di divieto di sosta degli autoveicoli lungo il Corso. L’assessore si rammaricava di non essere riuscito, nonostante i suoi sforzi e la sua buona volontà, a varare un provvedimento che avrebbe certamente incrementato il volume delle vendite dopo un iniziale breve periodo di assestamento: eliminare dalla piazza centrale di Teramo lo sconcio del mercato settimanale del sabato. Marchegiani precisava che il problema di fondo del Comune di Teramo era quello di “incrementare e aumentare il reddito, di eliminare la disoccupazione e la sottoccupazione, elevando il tenore di vita, cancellando le troppo lunghe liste dei poveri”. L’attuale amministrazione aveva il merito “di avere sfondato il muro delle apatie, dei gretti conservatorismi, delle resistenze degli scettici e dei malevoli, di aver saputo convogliare a Teramo energie e possibilità sempre respinte nel passato remoto e recente.” Se i teramani avessero avuto fiducia, assicurava l’assessore, l’industrializzazione in cinque anni non sarebbe stata più solo una chimera, ma una realtà viva e operante. C’erano fondate speranze di un ritorno in città di un reparto militare, forse un Battaglione della Scuola Allievi Ufficiali di Ascoli Piceno, che già avrebbe dovuto avere sede a Teramo, ma altri si erano fatti sfuggire. Erano in costruzione le case per sfollare le caserme e si stava provvedendo per gli alloggi degli ufficiali. Il bilancio comunale avrebbe trovato il necessario respiro e sarebbe stato pronto a fronteggiare le nuove enormi esigenze civiche. La conclusione della lettera dell’assessore Marchegiani tornava sul problema dei parcheggi, precisando che da Piazza Caduti della Libertà a Piazza Garibaldi c’erano diversi “posteggi”: due per autoveicoli e uno per motocicli a Piazza Caduti della Libertà, uno a Piazza Sant’Agostino, uno a Largo San Matteo, uno a Largo Bruno Cellini, uno di fianco al Teatro Comunale, due a Piazza Garibaldi.
L’articolo era corredato da un commento del giornale. L’assessore veniva ringraziato per la sua lettera. Nulla era più utile di un colloquio diretto tra amministratori e cittadini tramite la stampa. Finora questo rapporto era stato cercato, ma non ottenuto, perché dal Comune non si era risposto a critiche, inviti, richieste. Il giornale proponeva un rubrica fissa: i lettori avrebbero interrogato e l’amministrazione comunale avrebbe risposto. Le colonne del giornale erano aperte. Anche la conclusione della nota del giornale riguardava i “posteggi”: quelli elencati dall’assessore Marchegiani c’erano già prima del divieto di sosta lungo il Corso ed erano sufficienti. Quando era stato preso il discusso provvedimento di divieto di sosta non si era provveduto ad istituirne di nuovi e quelli di Piazza Caduti della Libertà venivano occupati dalle bancarelle del sabato, proprio quando ce ne sarebbe stato più bisogno per un aumentato afflusso di autovetture in città.
Elso Simone Serpentini