Sulla pagina teramana del quotidiano romano “Il Tempo” del 31 ottobre 1952 per la prima volta comparve la proposta di istituire a Teramo una filiale dei Magazzini Standa. La proposta era di un anonimo lettore, il quale aveva inviato al giornale una lettera scritta a macchina non affrancata, tanto che il giornale gli dava dell’ineducato e avvertiva che qualsiasi altra lettera non affrancata (e perciò con pagamento dell’affrancatura a carico del destinatario) non sarebbe stata nemmeno ritirata.
La firma… a macchina, era: “molti cittadini”. Il giornale veniva esortato a “perorare l’istituzione in Teramo di una Standa , come è stato fatto in tutte le civili e progredite, ed ultimamente anche a Pescara”. Il giornale diceva di non credere che i cittadini firmatari fossero davvero “molti” e di ritenere che, invece, a scrivere la lettera fosse stato uno solo, che aveva abusato di una “dizione collettiva”.
Gli scriventi, ammesso che fossero veramente “molti”, dicevano: “Questa sì, è una bella istituzione: e se avete paura di suscitare il risentimento dei vari negozianti locali dimettetevi… Saremo esauditi o dovremo bussare altrove?”
Il giornale rispondeva che pubblicava la lettera perché non aveva paura di nessuno, ciascun cittadino munito di licenza poteva intraprendere qualsiasi commercio e anche nella civilissima città di Teramo mai nessun commerciante aveva cercato di ostacolare l’apertura di un negozio concorrente. I commercianti teramani, e questo faceva loro onore, sapevano che il mondo era largo e grande e c’era posto per tutti.
Entrando nel merito della proposta, il giornale diceva che dell’invocata istituzione della Standa non ravvisava né l’urgenza né l’inderogabile necessità. A Teramo c’erano negozi bellissimi che rigurgitavano di merceologia e il consumatore poteva per i propri acquisti rivolgersi dove più gli piaceva e a prezzi che il libero mercato e la libera concorrenza sapevano meglio consigliare. Non era la Standa che faceva il prezzo, ma la qualità dei prodotti e ogni qualità di vino andava pagata per quello che valeva. Se il consumatore teramano voleva allargare il raggio del suo orientamento per gli acquisti, ogni sabato poteva “sperdersi nella ricognizione del fiorentissimo mercato locale”, che presentava generi e merci di ogni qualità e di ogni prezzo.
L’articolista scriveva che avrebbe prestato maggiore attenzione se la lettera avesse sollecitato la soluzione di problemi più importanti per Teramo: quello della casa, degli sfratti, di un bagno pubblico, di un ristorante popolare. La questione della Standa non era urgente.
Chi aveva scritto la lettera a macchina con inchiostro rosso aveva ben poco da pensare, beato lui!
Nessun accenno si faceva, né da parte di chi aveva scritto la lettera né da parte del giornale, alla localizzazione della Standa, se la proposta fosse stata accolta e realizzata. Si era sul finire del 1952. Nessuno, forse, poteva immaginare che sette anni dopo, il 4 dicembre 1959 il sindaco di Teramo Carino Gambacorta avrebbe firmato, in una cordialissima cerimonia in comune alla presenza della stampa teramana, il contratto con i fratelli Storto per l’abbattimento del Teatro Ottocentesco e la costruzione al suo posto di un moderno palazzo che avrebbe ospitato un cine teatro e la filiale della Standa e, nel corso della stessa cerimonia, un contratto con il dott. Galli, segretario generale della Standa per l’affitto dei locali commerciali del nuovo edificio. Nessuno nel 1952 poteva immaginare che i lavori di abbattimento del Teatro ottocentesco sarebbero iniziati assai presto, subito dopo la firma dei due contratti, e che la filiale della Standa sarebbe stata inaugurata il 28 aprile 1961, con il taglio del nastro e i discorsi del sindaco Gambacorta, del vescovo Battistelli, del direttore generale della Standa Brivio e alla presenza della stampa e di una straripante folla esultate. Ma questa è un’altra storia… che presto rievocheremo.
Elso Simone Serpentini